La Esortazione apostolica «Evangelii
Gaudium» (La gioia del
Vangelo) di papa Francesco, che
delinea una chiesa missionaria
e ridà la centralità all’annuncio
evangelico come dimensione
fondamentale dell’esistenza della
Chiesa, ha di fatto aperto una
riflessione sul ruolo della Chiesa
nella società. Si pone il problema
di come portare l’annuncio in una
società secolarizzata e profondamente
cambiata nel volgere di pochi
decenni, non semplicemente
per conservare la Chiesa in questa
realtà mutata, ma per evangelizzare
la società e a rendere la Chiesa
capace di questo compito.
È un cambio di marcia notevole.
Nell’arco di tre secoli la modernità
ha radicalmente modificato
una società gerarchicamente ben
strutturata e interamente cristianizzata
nella quale la Chiesa aveva
un ruolo rilevante, esercitando
anche un certo potere.
La Chiesa
di conseguenza si è arroccata in
una difesa ad oltranza contro la
modernità senza porsi il problema
di come annunciare il Vangelo
in un contesto mutato, ma anzi
opponendosi al cambiamento.
Ora si prende atto che la società
è composta da varie istanze non
più gerarchicamente ordinate, che
spesso anzi rivendicano la propria
autonomia totale (vedi la cultura,
la scienza, la finanza) dove la
libertà personale è diventata un
valore assoluto e la dimensione religiosa
non è più centrale. Queste
trasformazioni sono state spesso
positive (vedi il valore acquisito
dalla democrazia e le conquiste
della scienza), altre volte negative.
Ora si riconosce che la modernità
è un fatto irreversibile e con essa
occorre misurarsi. Ne consegue
che in questa società non si nasce
più cristiani, ma si decide, eventualmente,
di diventare cristiani.
Di qui l’esigenza di andare in missione
in terre un tempo cristianizzate
come la nostra.
La missione tuttavia non è propaganda
cristiana. Occorre ritornare
ai fondamentali teologici
della missione. L’annuncio del
Vangelo a tutti gli uomini nasce
dalla fede che Gesù è risorto dai
morti e la sua morte (con ciò che
implica come modello di amore
gratuito e totale) e resurrezione
è per tutta l’umanità e per questo
la sua signoria, quando è
accettata, realizza pienamente la
libertà, la giustizia, la solidarietà
e la fratellanza, cioè è totalmente
umanizzante. Questa è la ragione
per cui la Chiesa deve annunciare
il Vangelo a tutti (Mt. 28,19-20).
In questo senso la chiesa è naturalmente
missionaria, senza
pretendere con ciò che tutto il
mondo diventi cristiano. Suo
compito è porsi come segno di
salvezza e strumento dell’amore
di Dio verso tutti.
La missione consiste nel trasmettere
al mondo la vita divina
e perciò è un compito naturale
per la Chiesa. Se non è missionaria
la Chiesa nega se stessa. Si
tratta poi di capire come concretamente
realizzare la missione.
Qui risulta evidente il ruolo dei
laici. Non è pensabile che sia
una compito del clero soltanto.
La Chiesa è naturalmente in
missione con i laici che vivono
la loro normale dimensione
sociale in famiglia, nei rapporti
sociali, nei luoghi di lavoro, nelle
equipe scientifiche, in politica,
ecc. Ciascuno di essi è parte del
popolo di Dio ed è cristiano
sempre nel mondo lavoro, nel
rapporto con gli altri, per come
risolve i problemi. Per come testimonia
il suo essere cristiano.
La trasmissione della fede passa
in gran parte dai comportamenti
coerenti di ciascuno. Ciascuno
responsabilizzato a portare
le ragioni del suo credere e la
novità del Vangelo. E sono tutti
luoghi non abitualmente abitati
dal clero, o almeno dai preti. Per
questo occorre porre particolare
attenzione alla formazione dei
laici affinché siano sempre più
capaci di annuncio cristiano e,
addirittura, di rappresentanza
della Chiesa là dove si realizza
la loro vita.
Ma anche la vita ecclesiale, là
dove i cristiani si radunano per
celebrare liturgicamente, per pregare
o per confrontarsi, deve in
qualche modo essere permeata
dalle loro diverse esperienze. Al
clero poi spetterà il compito di
radicare la comunità cristiana
nella testimonianza apostolica.
Tuttavia in una società molto
articolata, addirittura parcellizzata
e disincantata la capacità di
argomentare è fondamentale. Per
questa ragione la «formazione»
diventa un passaggio obbligato
per tutti.
Nella nostra Unità pastorale
sta per partire l’esperienza
dei «Gruppi di Vangelo nelle
case» dove soprattutto i laici
saranno chiamati, dopo un’adeguata
formazione, ad esserne
i protagonisti.
Per le persone e
le famiglie che vorranno ascoltare,
o ospitare i Gruppi nella
propria casa, siano essi credenti
che vogliono approfondire la
loro fede, oppure non credenti
curiosi di capire la proposta
cristiana, sarà un’opportunità
di conoscere i cristiani non per
come sono descritti dai giornali
e da un certo pregiudizio, ma
per come si fanno ispirare dalla
Parola di Cristo nella vita di
ogni giorno.
diacono Roberto PORRATI
martedì 2 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
DICIAMO NO AL BULLISMO
Dalle associazioni alle scuole,
passando per l’amministrazione
comunale e le famiglie, si
alza un deciso «no» a bullismo
giovanile. Lo dimostrano la sensibilità
concretizzatasi in partecipazione
e interesse dimostrato
in occasione delle iniziative sul
tema, tanto che le scuole medie
si sono appena aggiudicate un
bando del Ministero dell’Istruzione
finalizzato proprio alla
prevenzione del bullismo e il
Comune, in collaborazione con
le associazioni, sta avviando un
Centro Giovani.
Per «bullismo» s’intendono tutte
le «azioni di sistematica prevaricazione
e sopruso messe in
atto da parte di un bambino o
adolescente, definito ‘bullo’ o da
parte di un gruppo definito tale,
nei confronti di un suo pari, percepito
come più debole, la vittima
».
Anche se San Mauro – agli occhi di molti – è un’isola felice, non bisogna abbassare la guardia né sottovalutare i campanelli d’allarme, anche alla luce degli episodi che si registrano periodicamente, piccoli o grandi che siano, e di quelli celati nella «rete» e nei cellulari dei nostri giovani. «Tutti coloro che, a vario titolo, sono impegnati a diretto contatto con il mondo giovanile hanno il dovere morale e civile di affrontare il problema - spiega l’assessore Marino Reymondet che di mestiere fa l’insegnante - Spesso esso è nascosto molto bene nelle varie realtà e nelle persone, è un dato assodato che le cosidette ‘isole felici’ nascondono meglio di altre forme di arroganza e sopraffazione. Nel mio caso, chi si occupa delle politiche giovanili, deve concorrere a creare condizioni di partecipazione attiva sul territorio ‘fomentando’ la voglia ad essere protagonisti ed elementi attivi sul territorio. A breve apriremo il Centro Giovani che fa parte di un progetto locale ormai avviato. È un tentativo di offrire uno spazio e una opportunità a favore dei giovani di proporre attività, dialogo, informazioni, aiutandoli a sentirsi cittadini attivi e propositivi. Il giovane ‘bullo’ spesso è passivo, vinto e giocoforza violento ma nessuno nasce così, se non trova intorno a sé indifferenza può cambiare e scoprirsi invece attivo, vincitore e cittadino corretto e, perché no, felice». «Come giovani lavoratori e studenti impegnati nell’associazione Gioc, siamo chiamati alla sfida quotidiana di educare, formare ed evangelizzare i ragazzi dei nostri territori, camminando al loro fianco in questo percorso - spiega Francesca Porrovecchio della Gioventù Operaia Cristiana (Gioc), della quale don Ilario Corazza è stato appena nominato assistente a livello torinese - Grazie al confronto reciproco all’interno del gruppo, come luogo educativo e di crescita per eccellenza, i giovani possono riscoprire la loro identità, raccontare il proprio stato d’animo e le problematiche che vivono in famiglia, con gli amici, a scuola, diventando così protagonisti impegnati e consapevoli dei loro ambienti di vita.
La prima vera arma per combattere il bullismo è ‘parlarne, parlarne, parlarne’, e l’esperienza di gruppo per i nostri ragazzi, da questo punto di vista, diventa così il luogo privilegiato per iniziare a farlo davvero». San Mauro sembra aver recepito in pieno queste indicazioni. In questi giorni la scuola media statale «Carlo Alberto Dalla Chiesa», ha vinto un concorso bandito dal Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) su questo tema e partecipato attivamente al tavolo avviato ufficialmente lo scorso 25 ottobre dall’associazione culturale AltreArti nella serata dal titolo «Il Bullismo non è rock». In quell’occasione, tra un brano musicale e l’altro, il pubblico si è trovato immerso in un dibattito vivo, affrontando il tema dell’educazione dei figli, della necessità di fare rete e prevenzione con scuola, istituzioni e loro: i giovani. Non ci è voluto molto a sciogliere la vergogna condensandola in gocce di speranza e in azione. Ci è riuscito Flavio Rubatto, educatore e musicoterapeuta di AltreArti che ha intrattenuto il pubblico, rimasto a bocca aperta e in silenzio profondo (bambini compresi) per oltre mezzora, con alcuni «giochi» improntati sull’osservazione dei movimenti del corpo basata sulla programmazione neuro linguistica (pnl) e sul lavoro d’insieme, con il canto di gruppo (tecnica dell’ancoraggio). Una breve dimostrazione di una parte del cosiddetto «metodo AltreArti»: imparare - la musica, ad esempio - sperimentando e giocando con le infinite potenzialità comunicative che il corpo e la mente umana offrono. Abbiamo incontrato la professoressa Luisa Dal Paos - dirigente scolastica delle scuole medie sanmauresi che insieme alla collega Patrizia Pramaggiore, dirigente scuole elementari, ha partecipato alla tavola rotonda - al fine di comprendere da vicino questo fenomeno e come la scuola italiana intende porre fine allo stesso. Secondo la dirigente, è importante lavorare in rete partendo dal nucleo familiare. «La famiglia - spiega Dal Paos - deve far comprendere all’adolescente i rispettivi ruoli che sono diversi».
La famiglia del «bullo», chiamata in causa, spesso si sente in dovere di difendere il proprio figlio sminuendo l’atto o negandolo del tutto, questo porta a screditare le azioni preventive o educative che la scuola intende prendere. «La famiglia si sente chiamata in causa più di quanto dovrebbe e dovrebbe comprendere che essi e il bambino non sono allo stesso piano» prosegue la preside sanmaurese che sottolinea anche il «timore di chiedere aiuto, anche per paura che il bambino venga allontanato dalla famiglia». Sul cyberbullismo Dal Paos aggiunge che «i ragazzi vanno educati all’utilizzo degli strumenti offerti da Internet» e per questo la scuola media sanmaurese ha aderito a un ciclo di serate organizzate da «La Piazza dei Mestieri» con corsi di formazione per insegnanti, conferenze e laboratori per ragazzi e conferenze aperte alle famiglie. La passione della docente per il suo lavoro è racchiusa in questa frase che ci rilascia, a fine intervista: «Ho insegnato per 32 anni informatica, l’altro giorno sono stata venti minuti in classe per sostituire una collega. Venti minuti in classe ed ero felice».
Emanuele FRANZOSO Chiara MUNNO ha collaborato MATTEO DE DONÀ
Anche se San Mauro – agli occhi di molti – è un’isola felice, non bisogna abbassare la guardia né sottovalutare i campanelli d’allarme, anche alla luce degli episodi che si registrano periodicamente, piccoli o grandi che siano, e di quelli celati nella «rete» e nei cellulari dei nostri giovani. «Tutti coloro che, a vario titolo, sono impegnati a diretto contatto con il mondo giovanile hanno il dovere morale e civile di affrontare il problema - spiega l’assessore Marino Reymondet che di mestiere fa l’insegnante - Spesso esso è nascosto molto bene nelle varie realtà e nelle persone, è un dato assodato che le cosidette ‘isole felici’ nascondono meglio di altre forme di arroganza e sopraffazione. Nel mio caso, chi si occupa delle politiche giovanili, deve concorrere a creare condizioni di partecipazione attiva sul territorio ‘fomentando’ la voglia ad essere protagonisti ed elementi attivi sul territorio. A breve apriremo il Centro Giovani che fa parte di un progetto locale ormai avviato. È un tentativo di offrire uno spazio e una opportunità a favore dei giovani di proporre attività, dialogo, informazioni, aiutandoli a sentirsi cittadini attivi e propositivi. Il giovane ‘bullo’ spesso è passivo, vinto e giocoforza violento ma nessuno nasce così, se non trova intorno a sé indifferenza può cambiare e scoprirsi invece attivo, vincitore e cittadino corretto e, perché no, felice». «Come giovani lavoratori e studenti impegnati nell’associazione Gioc, siamo chiamati alla sfida quotidiana di educare, formare ed evangelizzare i ragazzi dei nostri territori, camminando al loro fianco in questo percorso - spiega Francesca Porrovecchio della Gioventù Operaia Cristiana (Gioc), della quale don Ilario Corazza è stato appena nominato assistente a livello torinese - Grazie al confronto reciproco all’interno del gruppo, come luogo educativo e di crescita per eccellenza, i giovani possono riscoprire la loro identità, raccontare il proprio stato d’animo e le problematiche che vivono in famiglia, con gli amici, a scuola, diventando così protagonisti impegnati e consapevoli dei loro ambienti di vita.
La prima vera arma per combattere il bullismo è ‘parlarne, parlarne, parlarne’, e l’esperienza di gruppo per i nostri ragazzi, da questo punto di vista, diventa così il luogo privilegiato per iniziare a farlo davvero». San Mauro sembra aver recepito in pieno queste indicazioni. In questi giorni la scuola media statale «Carlo Alberto Dalla Chiesa», ha vinto un concorso bandito dal Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) su questo tema e partecipato attivamente al tavolo avviato ufficialmente lo scorso 25 ottobre dall’associazione culturale AltreArti nella serata dal titolo «Il Bullismo non è rock». In quell’occasione, tra un brano musicale e l’altro, il pubblico si è trovato immerso in un dibattito vivo, affrontando il tema dell’educazione dei figli, della necessità di fare rete e prevenzione con scuola, istituzioni e loro: i giovani. Non ci è voluto molto a sciogliere la vergogna condensandola in gocce di speranza e in azione. Ci è riuscito Flavio Rubatto, educatore e musicoterapeuta di AltreArti che ha intrattenuto il pubblico, rimasto a bocca aperta e in silenzio profondo (bambini compresi) per oltre mezzora, con alcuni «giochi» improntati sull’osservazione dei movimenti del corpo basata sulla programmazione neuro linguistica (pnl) e sul lavoro d’insieme, con il canto di gruppo (tecnica dell’ancoraggio). Una breve dimostrazione di una parte del cosiddetto «metodo AltreArti»: imparare - la musica, ad esempio - sperimentando e giocando con le infinite potenzialità comunicative che il corpo e la mente umana offrono. Abbiamo incontrato la professoressa Luisa Dal Paos - dirigente scolastica delle scuole medie sanmauresi che insieme alla collega Patrizia Pramaggiore, dirigente scuole elementari, ha partecipato alla tavola rotonda - al fine di comprendere da vicino questo fenomeno e come la scuola italiana intende porre fine allo stesso. Secondo la dirigente, è importante lavorare in rete partendo dal nucleo familiare. «La famiglia - spiega Dal Paos - deve far comprendere all’adolescente i rispettivi ruoli che sono diversi».
La famiglia del «bullo», chiamata in causa, spesso si sente in dovere di difendere il proprio figlio sminuendo l’atto o negandolo del tutto, questo porta a screditare le azioni preventive o educative che la scuola intende prendere. «La famiglia si sente chiamata in causa più di quanto dovrebbe e dovrebbe comprendere che essi e il bambino non sono allo stesso piano» prosegue la preside sanmaurese che sottolinea anche il «timore di chiedere aiuto, anche per paura che il bambino venga allontanato dalla famiglia». Sul cyberbullismo Dal Paos aggiunge che «i ragazzi vanno educati all’utilizzo degli strumenti offerti da Internet» e per questo la scuola media sanmaurese ha aderito a un ciclo di serate organizzate da «La Piazza dei Mestieri» con corsi di formazione per insegnanti, conferenze e laboratori per ragazzi e conferenze aperte alle famiglie. La passione della docente per il suo lavoro è racchiusa in questa frase che ci rilascia, a fine intervista: «Ho insegnato per 32 anni informatica, l’altro giorno sono stata venti minuti in classe per sostituire una collega. Venti minuti in classe ed ero felice».
Emanuele FRANZOSO Chiara MUNNO ha collaborato MATTEO DE DONÀ
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