martedì 19 febbraio 2013

Parte da Pescarito la sfida delle bici elettriche

Oltre 700 bici elettriche prodotte e vendute nel 2012, primo anno di attività dell’innovativa azienda sanmaurese «Move your life». In tempi di crisi industriale si segnala l’esempio in controtendenza di questa nuova fabbrica di zona Pescarito, specializzata nella produzione di biciclette a «pedalazione assistita», cioè dotate di batteria elettrica e motore ecologico che moltiplica la forza del pedale.

I veicoli elettrici (auto, moto, bici) sono una delle soluzioni che probabilmente si affermeranno di più nei prossimi anni di fronte al problema energetico e all’inquinamento. Non pagano bollo né assicurazione, si caricano alla presa elettrica con pochi centesimi di euro. L’«Ultra mobile bike» (Umb) prodotto a San Mauro nell’azienda fondata e diretta da Marco Curti è un esempio che il pubblico mostra di gradire: nel 2013 si passerà da 700 e 1.500 esemplari, con la prospettiva di arrivare in pochi anni ad una produzione di 4 mila biciclette, pari ad un fatturato di 6 milioni di euro. 

Il prezzo delle bici oscilla fra i 2.000 e i 3.500 euro, secondo l’allestimento e la potenza del motore, dalla quale dipende anche il numero di chilometri percorribili con una carica di batteria (da 70 a 200 km, velocità massima 25 km all’ora). Come spiega l’ad Curti «nel 2012 l’intera produzione di bici elettriche è stata venduta in Italia (80%) e Francia (20%). Nel 2013 ci allargheremo al mercato dei Paesi Bassi». Otto i dipendenti dell’azienda, che assemblea i veicoli e produce in proprio alcuni componenti. «Prima del lancio delle bici elettriche – conclude Curti - operavamo nel settore delle componenti automobilistiche, producevamo all’estero. Ma venne la crisi dell’auto e abbiamo dovuto reinventarci: oggi siamo una azienda che produce tutto in Italia, con componenti italiane, e vende all’estero».

Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013

domenica 17 febbraio 2013

L'addio a Maschera, amico e poeta

Ci regalato le parole per interpretare la realtà, le situazioni della vita. Il poeta sanmaurese Pier Carlo Maschera lunedì 7 gennaio, a 69 anni, dopo una malattia contro la quale, aiutato dalla moglie Ede, si era impegnato a combattere.

La malattia gli aveva debilitato il corpo, ma non lo spirito, così la mente continuava a partorire idee, come quella legata al concetto di «maschera», il suo cognome, che in un momento di pausa forzata era divenuto fonte d’ispirazione. Ora questo percorso non potrà più proseguire, ma tante altre iniziative di Pier Carlo ed i suoi scritti continueranno a vivere.

Gli si deve dar merito d’avere fondato, nel 1973 a Torino, la sezione comunale e provinciale dell’Aido (Associazione donatori organi), di cui fu anche presidente onorario. Di essere stato socio benemerito della Pro Loco di San Mauro, con la quale collaborò tra l’altro alla realizzazione del libro «Una fiaba per un sogno». Sempre ha San Mauro è stato presidente del «Circolo Culturale degli artisti», nel 1999 ricevette l’onorificenza «Amis ‘dla Fròla», e la qualifica di «Seniores ad honorem ». Fu anche presidente della Pro Loco di Baldissero, comune che gli conferì la qualifica di cittadino onorario. Nel 2009, Maschera fu premiato con l’ambitissima «Fragolina d’oro».

Ha pubblicato due libri di poesie in lingua italiana ed uno in lingua piemontese. La sua ultima opera è un libro intitolato «Fila fila filastrocca», presentato nell’aula consiliare di San Mauro nel 2011. Condusse trasmissioni radiofoniche per l’emittente «Rete Universal», ed insieme a Paola Cresta Barbera (direttore artistico del «Pulcino d’oro») le trasmissioni «L’amore è» su Radio Azzurra e «Nuova onda» su Radio Italiana. Con Paola compartecipò anche alla terza edizione del «Pulcino d’oro».

L’ultima sua apparizione in pubblico è avvenuta l’8 settembre 2012 in occasione dei cento anni del ponte «Vecchio». Mentre leggeva le sue poesie in lingua piemontese era circondato da un folla immensa, come se il destino avesse voluto ricompensarlo del suo impegno verso San Mauro, ed i cittadini lo abbracciassero per l’ultima volta.

Alla sua sepoltura c’erano molti gonfaloni fra cui quelli dei «Donatori del sangue» e la Pro loco di Baldissero, insieme a tanti amici di Torino, San Mauro e Baldissero. Don Benito Luparia, visibilmente commosso, ha salutato l’amico, pregato e benedetto la salma. Pier Carlo Maschera è stato per lungo tempo presentatore ufficiale del Coro Pulcherada - Eco della Dora. «Hai dato voce alle sensazioni più profonde ed intime dell’animo – gli hanno scritto gli amici coristi - quelle che non tutti sappiamo liberare per paura, per timidezza o perché ci mancano le parole giuste. Tu invece sapevi usare le parole giuste».

Durante la Messa di trigesima, celebrata il 2 febbraio a Torino da don Luparia nella chiesa Ss. Nome di Gesù, è stata letta ancora una sua poesia. «Solo ora mi rendo conto del patrimonio di parole che possiedo, ora che con l’apertura del cassetto le ho fatte rotolare nel tappeto ed il gatto di casa ci sta giocando. Le sceglierò ad una ad una, a voi amici regalerò tutte le altre». Grazie Pier Carlo per tutte quelle atmosfere che con le parole ci hai regalato.

Luisa Pilone

Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
Il Gruppo missionario di San Mauro nel mese di gennaio ha ha promosso un incontro con i cristiani di fede evangelica e una visita alla Sinagoga di Torino. Il diacono Roberto Porrati ha dato particolare impulso alla duplice iniziativa e ne valeva la pena, visto l’ampia partecipazione. La visita alla Sinagoga (30 gennaio) ha visto la partecipazione di un centinaio di sanmauresi, trasferiti a Torino con due autobus. Si è tenuta tre giorni dopo «Il giorno della memoria», istituito nel 2005 perché gli orrori dei crimini commessi contro l’umanità non cadano in prescrizione e le nuove generazioni possano venirne a conoscenza.

Sinagoga significa «Casa di riunione» e nasce come luogo di preghiera collettiva senza però essere un luogo consacrato. È anche un punto d’aggregazione per riunioni amministrative e di studio. Fra le più note in Europa si ricordano quelle di Praga e di Venezia. Ad presentare la sinagoga di Torino sono intervenuti stati Rabbino ed un giovane della comunità ebraica. Hanno messo i visitatori a conoscenza di tanti aspetti della loro vita di comunità, dalle regole alimentari al capodanno, che avviene in settembre, al numero dei precetti che sono 613…. Fa parte dei precetti anche il non poter pregare in promiscuità, per tale motivo la Sinagoga è circondata da una balconata, il «Matroneo»: vi si collocano le donne.

Nella Sinagoga sotterranea, più raccolta, dove si celebrano le funzioni settimanali, le donne sono separate dagli uomini solo da una transenna. Altro elemento di notevole importanza è la copertura del capo degli uomini, in segno di rispetto a Dio. La Sinagoga di Torino fu bombardata nel 1943: andò distrutto il soffitto a cassettoni in legno, poi ricostruito in cemento; andarono persi anche i mosaici geometrici, in stile moresco. L’edificio risale alla II° metà dell’800, costruito dopo che il re Carlo Alberto (1848) liberalizzò il culto valdese e aprì il ghetto ebraico che risiedeva nei pressi di piazza Carlina. Quando Carlo Alberto morì, la comunità ebraica, in segno di lutto, fece dipingere l’armadio (luogo dove vengono posti i rotoli della legge) in nero, e quell’armadio, tutt’ora conserva il colore nero ed è collocato nella parte sotterranea. Fino a Carlo Alberto le Sinagoghe dovevano rimanere mimetizzate. Dopo il 1848 la comunità ebraica acquistò terreni per costruire un tempio maestoso nel centro della città, l’attuale Mole Antonelliana, mai utilizzata davvero come Sinagoga. Resta l’attuale tempio nel quartiere San Salvario.

La serata del 30 gennaio ha permesso di conoscere la cultura di un popolo che, dalla diaspora in poi (70 a.C.), si radicò in tanti luoghi del mondo fra cui Torino. Una cultura e una storia che ci è piuttosto estranea. Il confronto civile con altre culture religiose e sociali diminuisce sempre gli elementi di diffidenza, fa compiere passi avanti in civiltà e forse aiuta a comprendere meglio la propria cultura e il proprio credo religioso. «La cosa più importante è rimanere in ascolto dell’altro» ha detto Papa Benedetto XVI al termine di un corso di esercizi spirituali. È quello che umilmente circa cento persone di San Mauro hanno voluto fare.

Luisa PILONE

Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013

La Fede dei fratelli

La nostra Unità Pastorale, che raccoglie le parrocchie di San Mauro, ha iniziato in modo originale l’Anno dedicato alla Fede da Papa Benedetto. Nel mese di gennaio i cattolici sanmauresi si sono incontrati con gli ebrei in sinagoga e con gli evangelici nella parrocchia del Sacro Cuore. Due avvenimenti interessanti e importanti che ci hanno messo nella condizione di valutare la nostra fede a partire dalla fede degli altri. Uno sforzo di comprensione che ci ha interrogati fin nel profondo. E anche un atto di amore di cui si sentiva bisogno.

La visita alla sinagoga di Torino ha comportato uno sforzo per capire la fede dei nostri fratelli ebrei sia attraverso un cammino di preparazione che è stato fatto con il Gruppo missionario di Up, sia attraverso le spiegazioni che ci sono state offerte in modo particolare dal rabbino Somekh che ci ha accolti e accompagnati. I risultati di questo percorso di comprensione sono stati sorprendenti e stimolanti. Ha colpito inizialmente il particolare rapporto che l’ebreo, come popolo e come persona, ha con Dio. Abbiamo imparato che importante per l’ebreo non è conoscere la natura di Dio, questione che ha invece molto impegnato la riflessione cristiana, sia occidentale che orientale, nel corso dei secoli. Ciò che conta è cercare di sapere che cosa Dio vuole che noi facciamo. Es. 24,7 «Tutto ciò che il Signore ha detto noi lo eseguiremo e lo staremo a sentire». Da qui la concezione ebraica di Dio, che nel corso dei secoli definisce l’halachà, la via da seguire o regola da rispettare. Tutta la vita dell’ebreo è spesa per cercare, applicando l’halachà, di diventare immagine di Dio, che è al contempo assolutamente trascendente e inconoscibile, ma che anche cammina con il suo popolo.

All’ebreo interessa di più questa vita dell’altra. Vuole vivere santamente questa vita, indipendentemente da futuri premi o punizioni. Il fine della vita è osservare le leggi di Dio date con la Toràh. Nella Toràh e in altri testi (soprattutto i profeti) e in alcuni brani liturgici ci sono riferimenti al Regno dei Morti e a un’epoca di resurrezione, ma siccome nulla è detto di preciso si sono sviluppate correnti diverse, nessuna delle quali considerata eretica. La preghiera ebraica poi ha il cuore nell’annullamento della volontà umana dinnanzi al dovere di servire Dio. Non è tanto frutto di sentimenti estemporanei e non si esprime in parole improvvisate che sgorgano dal cuore come fatto emotivo (anche se è ammessa), ma ha una forma fissa e codificata. Prescinde dalla situazione personale e dalle richieste personali e rappresenta un atto di omaggio e sottomissione a Dio e alla sua potenza. È di riconoscimento, o glorificazione, di inno, lode, richiesta, ringraziamento, benedizione a Dio. Ha due ramificazioni: la berachàh (benedizione) e la tefillàh, che è il rituale liturgico che si celebra in sinagoga. Anche la casa, oltre alla sinagoga, è un luogo di preghiera; la casa ebraica è ritenuta un santuario e la mensa quasi un altare. È in casa che il venerdì sera si accoglie il sabato. La donna accende le candele e recita la relativa berachàh. In casa si fa il kiddùsh (la santificazione della festa), dicendo la benedizione sul vino. Ed è sempre in casa che alla sera del sabato si celebra una breve cerimonia sottolineando il passaggio ad un’altra settimana di lavoro. In sostanza vale quel che si diceva all’inizio: all’ebreo non interessa conoscere l’essenza di Dio.

L’ebraismo è la religione dell’azione, perciò è etica in atto. L’uomo capisce Dio operando. Il buon agire, cioè l’etica, diventa l’asse portante e già questo mi sembra una bella ricchezza che ci è stata consegnata dalla visita in sinagoga. L’incontro con gli evangelici è stato altrettanto ricco. Si è svolto nel contesto della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani ed ha visto i due predicatori (il pastore Paolo Ribet per gli evangelici) affrontare i temi suggeriti dal profeta Michea e da Paolo con la Lettera ai Galati. La predicazione incisiva del pastore Paolo Ribet ha colto l’urgenza pressante di giustizia che emerge dal processo che Dio intenta al popolo di Israele al quale chiede di «praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,6-8). L’attualizzazione ha colto l’analogia tra i tempi di Michea, caratterizzati da scossoni politici, turbolenze internazionali, ingiustizie sociali e degrado religioso e i nostri non meno agitati e incerti sia sul piano nazionale e internazionale, che etico/morale. Ha fatto emergere anche in questo caso una forte esigenza etica che discende dal praticare la volontà di Dio, che si ricava dal suo insegnamento. Paolo poi, è il commento di parte cattolica, ci guida verso un itinerario di fede che consiste principalmente in Gesù Cristo, il Giusto per eccellenza; per suo tramite possiamo entrare in un giusto rapporto con Dio e tra di noi, in comunione con il Padre e con il mondo. È la stessa fede di Abramo, che anticipa di 430 anni la Legge, e più ancora quella di Gesù, che abbatte le barriere della legge, di tutte le leggi. Emerge che la «legge» di Gesù va oltre il pedagogo che impone precetti e proibizioni ed è la legge dell’amore che ci rende una cosa sola con Cristo. E questo ci rende liberi e non ha più importanza essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna. È la vocazione ad amare secondo lo spirito e l’esempio di Gesù. È quell’amore che ci fa accogliere il prossimo (che è poi Gesù nelle sue varie manifestazioni: il carcerato, l’assetato, l’affamato, in una parola «l’altro», soprattutto nel bisogno) e nell’accoglienza ci riempie di Gesù e ci trasforma in lui («non sono più io che vivo in Cristo, è Cristo che vive in me», è la meta indicata da Paolo). È il fratello la via per arrivare, con la mediazione di Cristo, al Padre.

L’amore attraverso le Beatitudini trascende la legge/prescrizione e diventa un codice etico/esistenziale fondato sul dono integrale e gratuito di sé. Non hanno pesato le differenze teologiche, che non siamo certo noi chiamati a risolvere e che nella vita concreta fatta di ricerca di rapporti e rispetto non devono pesare più dell’amore reciproco, si è vissuto un intenso momento di unità. In conclusione la visita in sinagoga e la preghiera ecumenica hanno avuto un tema costante e comune: l’etica praticata e vissuta. Senza l’etica praticata l’incoerenza con l’insegnamento del Padre è massima. Nella omelia della Messa delle Ceneri, il Papa ha detto: «Anche ai nostri giorni molti sono pronti a ‘stracciarsi le vesti’ di fronte a scandali e ingiustizie, naturalmente commessi da altri, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta». L’etica ricercata, praticata e vissuta potrebbe essere per tutti noi un buon cammino quaresimale (e non solo).

Diacono Roberto PORRATI

Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013

Per il nostro futuro

In queste settimane sarà capitato un po’ a tutti di domandarsi del proprio futuro in relazione alla situazione del nostro Paese e della nostra Chiesa. In molti hanno fatto appello a questo tema per presentarci le loro proposte o per riflettere su quella che è la missione della Chiesa. Non possiamo rimanere sordi o muti agli appelli del futuro perché questi ci toccano direttamente, così come riguardano i nostri giovani e ragazzi. Così il nostro futuro si riempie di speranze, attese, sogni ma anche dubbi, paure e forse angosce. Il rischio è che questo futuro inghiottisca tutta le nostre energie, ma senza darci una speranza o un senso per quello che stiamo facendo. Penso quindi che la strada migliore sia ancora una volta imparare dalla nostra fede che ci dice di una attesa del Signore che verrà nella gloria.

 Il Cristo è già venuto nell’umiltà e nel nascondimento. Ora la nostra preghiera deve farsi carico di un cammino di tutta l’umanità verso il compimento della storia, che in ultima analisi è buono. Il compimento è garantito da Dio, pertanto gli eventi favorevoli o sfavorevoli non possono renderci ottimisti o pessimisti perché nostro punto di riferimento sono le promesse eterne di Dio. Le promesse parlano di: liberazione degli afflitti, diritto anche per gli oppressi, vita per ognuno, perdono, riconciliazione, pace, giustizia, amore reciproco. Queste promesse di Dio esigono da noi una critica della nostra attuale condizione e quindi una conversione che ci permetta di far crescere la nostra umanità per il bene della Chiesa e del mondo intero. I nostri sforzi, in questo senso, anche se non risolvono tutto, ci permettono di sentire come nostra quella città che Gesù ha inaugurato per noi ma che attende di essere completata.

Il tempo di Quaresima ci ricorda concretamente tutto questo e quindi possiamo iniziare da subito a percorrere questa strada. In questi giorni di preparazione alla Pasqua si è parlato e si parlerà di preghiera e appuntamenti personali e comunitari, si progetta una seria collaborazione e comunione con popolazioni in difficoltà, ci saranno momenti specifici per ricevere la misericordia di Dio, vivremo in forma liturgica i misteri della nostra salvezza attraverso i sacramenti. Tutto ciò fa parte del nostro futuro perché si innesta in colui che ha detto «Io sono colui che sono» (Es 3,13). Su questo nome il popolo ebraico ha compiuto un cammino di liberazione attraverso il deserto durato quarant’anni, su questo nome i discepoli hanno creduto alla risurrezione di Cristo portando la buona novella in tutto il mondo, su questo nome noi dobbiamo affrontare il futuro insieme e con fiducia.

don Ilario CORAZZA

Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 17/02/2013