- Auguri natalizi sabato 21 dicembre a Santa Maria di Pulcherada dopo la Messa della sera; domenica 22 a Sant’Anna dopo la Messa delle 11.30, S. Cuore di Gesù dopo la Messe delle 11.30, S. Benedetto alle 11.
- Festa dolce e salato sabato 7 e domenica 8 dicembre con vendita di torte presso le aule di catechismo di Pulcherada, il ricavato andrà alla Casa dell’Immacolata. Il giorno 7 polentata in occasione della festa patronale.
- Sospensione catechismo per vacanze natalizie da lunedì 23 dicembre; ripresa il 13 gennaio 2014.
- Celebrazione penitenziale dell’Unità Pastorale mercoledì 18 dicembre alle 21 a Pulcherada.
- Novena di Natale. Da lunedì 16 dicembre Messa quotidiana con Novena alle 18.30 a Santa Maria di Pulcherada, alle 21 a Sant’Anna.
- Novena per i bambini. Da lunedì 16 a venerdì 20 dicembre alle 17 a Sant’Anna, Santa Maria di Pulcherada. A San Benedetto triduo il 16, 17, 18 dicembre alle 17. Al Sacro Cuore di Gesù triduo il 18, 19, 20 alle 17.
- Scuole materne. Festa di Natale Scuola Materna di Sant’Anna, venerdì 13 dicembre alle 17 a Sant’Anna. Presso la scuola materna di San Benedetto mercatino dall’1 all’8 dicembre. Festa di Natale a San Benedetto giovedì 19 dicembre 17.
- Notte di Natale. Lunedì 24 dicembre celebrazioni alle 24 a Pulcherada e Sacro Cuore, alle 22 Sant’Anna e San Benedetto.
- Tedeum martedì 31 dicembre alle 18 a Santa Maria di Pulcherada.
- Presepe vivente giovedì 26 dicembre.
domenica 15 dicembre 2013
Calendario Avvento
giovedì 26 settembre 2013
Testata d'Angolo 8 settembre 2013
E' nelle case di tutti i sanmauresi il nuovo numero di TESTATA D'ANGOLO, il giornale delle parrocchie in collaborazione con La Voce del Popolo.
Seguite il nostro blog per gli articoli, le foto, e gli approfondimenti dell'ultimo numero.
mercoledì 31 luglio 2013
Da San Mauro al lontano Oriente
Mi presento: sono Elena Carola
Colla, cittadina di San Mauro
da quando sono nata 26 anni fa.
Questo luogo fa parte della storia
della mia famiglia poiché, da
parte di mamma, le generazioni
sanmauresi si perdono nel tempo.
Mi sono laureata nel 2012:
corso di laurea in «Lingue e culture
dell’Asia e dell’Africa» presso
l’Università di Torino. I professori
mi proposero, la specialistica,
con un anno di corso in Cina. La
decisione è stata carica di dubbi,
ma poi, con il sostegno dei miei
genitori, ho scelto di partire ed
ora ritengo mi sia stata offerta
una grande opportunità.
Già nel 2010 avevo studiato sei mesi a Pechino. Allora, come ora, soggiornai in un campus, con la differenza che a Pechino tutti gli ambienti erano riscaldati e avevo il bagno in camera. Ora mi trovo a Shanghai, che essendo più a sud viene ritenuta città più calda, sebbene il termometro può anche raggiungere i 10 gradi sotto zero, nelle camere c’è l’aria condizionata mentre i corridoi ed i bagni comuni non hanno alcun tipo di riscaldamento.
Il volo che ho preso lo scorso mese di agosto 2012 mi ha portata in questo Paese, così diverso dal nostro, che in questi ultimi anni si è affacciato alla ribalta sul palcoscenico del mondo e che, forse, condizionerà la mie scelte future. Shanghai è una città diversa da Pechino, con caratteristiche più occidentali: è più cara e gran parte dei cittadini sono concentrati nell’accumulo di denaro e nell’ostentazione di una ricchezza raggiunta. Ci sono molti ristoranti occidentali, anche italiani, ne ho visti tre con il nome «Da Marco».
Shanghai è il simbolo, forse più di Pechino, dell’enorme sviluppo che la Cina ha raggiunto; è la dimostrazione che il Paese intende continuare il cammino di modernizzazione. Il grattacielo più alto di questa città raggiunge i 492 metri, è il IV° nel mondo ed ha 93 piani. Essendo rimasta in Cina anche durante le lunghe festività del capodanno cinese, ne ho approfittato per visitare Hong Kong ed altri luoghi.
La bellezza di questi luoghi non deve distogliere l’attenzione dai tanti problemi della Cina. In questo momento fra la gente c’è paura per la vicinanza con la Corea, poi c’è il grave problema dell’inquinamento, e si deve convivere con l’influenza aviaria, che ha già mietuto più di 100 vittime. Quanto alla tradizione nel cucinare gatti e cani posso testimoniare che i gatti sono divenuti compagni e amici dell’uomo mentre i cani subiscono ancora una sorte tragica. Di fronte alla mia stizza mi è stato risposto: «Voi occidentali mangiate i cavalli».
Nella foto: La sanmaurese Elena Colla (al centro) con due amiche davanti all’Oriental Pearl Tower di Shangai in Cina, dove sta completando gli studi universitari
Elena COLLA
Articolo pubblicato
Già nel 2010 avevo studiato sei mesi a Pechino. Allora, come ora, soggiornai in un campus, con la differenza che a Pechino tutti gli ambienti erano riscaldati e avevo il bagno in camera. Ora mi trovo a Shanghai, che essendo più a sud viene ritenuta città più calda, sebbene il termometro può anche raggiungere i 10 gradi sotto zero, nelle camere c’è l’aria condizionata mentre i corridoi ed i bagni comuni non hanno alcun tipo di riscaldamento.
Il volo che ho preso lo scorso mese di agosto 2012 mi ha portata in questo Paese, così diverso dal nostro, che in questi ultimi anni si è affacciato alla ribalta sul palcoscenico del mondo e che, forse, condizionerà la mie scelte future. Shanghai è una città diversa da Pechino, con caratteristiche più occidentali: è più cara e gran parte dei cittadini sono concentrati nell’accumulo di denaro e nell’ostentazione di una ricchezza raggiunta. Ci sono molti ristoranti occidentali, anche italiani, ne ho visti tre con il nome «Da Marco».
Shanghai è il simbolo, forse più di Pechino, dell’enorme sviluppo che la Cina ha raggiunto; è la dimostrazione che il Paese intende continuare il cammino di modernizzazione. Il grattacielo più alto di questa città raggiunge i 492 metri, è il IV° nel mondo ed ha 93 piani. Essendo rimasta in Cina anche durante le lunghe festività del capodanno cinese, ne ho approfittato per visitare Hong Kong ed altri luoghi.
La bellezza di questi luoghi non deve distogliere l’attenzione dai tanti problemi della Cina. In questo momento fra la gente c’è paura per la vicinanza con la Corea, poi c’è il grave problema dell’inquinamento, e si deve convivere con l’influenza aviaria, che ha già mietuto più di 100 vittime. Quanto alla tradizione nel cucinare gatti e cani posso testimoniare che i gatti sono divenuti compagni e amici dell’uomo mentre i cani subiscono ancora una sorte tragica. Di fronte alla mia stizza mi è stato risposto: «Voi occidentali mangiate i cavalli».
Nella foto: La sanmaurese Elena Colla (al centro) con due amiche davanti all’Oriental Pearl Tower di Shangai in Cina, dove sta completando gli studi universitari
Elena COLLA
Articolo pubblicato
mercoledì 10 luglio 2013
Il mito delle fragole
Nel calendario degli eventi di
San Mauro continua a venire
programmata la «Festa delle
Fragole», anche se i terreni
adibiti a questa coltivazione
sono rimasti pochi e le qualità
di maggior pregio non sono
neppure più nella categoria del
panda, perché sui terreni più
favorevoli sono cresciuti tanti
«alberi» di cemento. I palazzi,
senz’altro più fruttuosi dal
punto di vista finanziario, hanno
cancellato il prestigio che il
piccolo frutto rosso aveva dato
a San Mauro.
Per immaginare un paesaggio
fatto di tante piccole pianticelle,
non rimane che sfogliare
gli album fotografici di molte
famiglie sanmauresi.
Eugenia e Marilena Gilardi ci hanno mostrato le loro foto, molte sono in bianco e nero, ma possiamo immaginare quanto i terreni coltivati fossero verdi per le foglie, rossi per i frutti e bianco-gialli, per la paglia che il loro papà buttava fra un filare e l’altro affinché l’erba non crescesse. Fra i filari spicca la figura di Domenico Gilardi, da tutti conosciuto come Minòt. Figlio di Giuseppe Gilardi ed Eugenia Pilone, crebbe fra i filari di via Lunga (Sambuy) e dove ora c’è la farmacia di Sambuy. Assorbì i segreti della coltivazione. Produrre fragole divenne, per lui, una passione che trasmise alla moglie Ernesta Berton e alle figlie Eugenia e Marilena che, il giovedì, accompagnavano la mamma ai mercati generali, dal momento che in quel giorno, negli anni Cinquanta, non si andava a scuola.
Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.
La consegna delle fragole era un piccolo viaggio, il cappuccino preso al bar trasformava quella giornata in un giorno di festa. Ci sono anche foto più recenti, quelle in cui, fra i filari, scorazzano i nipotini Roberto e Paola Antonetto. Quando si fece costruire la casa in via Alfieri (allora via Rapo) per provare il terreno, Minot iniziò con 5 filari, era il 1953, poi divenne il più grande coltivatore di San Mauro. Il suo lavoro ufficiale era quello di vigile urbano di San Mauro; nei mesi d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo per poter andare nei campi prima di recarsi al lavoro. Poi, durante il periodo di raccolta, che durava circa venti giorni, arrivavano ragazze da Locana e da Ronco Canavese, Minòt lavorava con loro perché le ferie le richiedeva per quei giorni, pur rimanendo a disposizione, per il 2 giugno e le domeniche. Le sue fragole erano amate anche dal Prefetto di Torino che negli anni Cinquanta veniva di persona ad acquistarle. Venivano richieste dal ristorante «L’Aquila» che si trovava di fronte al municipio.
Le piantine provenivano da Ferrara, Minòt le faceva arrivare anche per altri coltivatori, la più famosa era la «Bella Ruby»; le fragoline di Bosconero, invece, non erano adatte per quel terreno. Un anziano artigiano che abitava in valle Chianale, gli intrecciava i cestini in vimini che lui voleva personalizzati, così da un lato c’era l’iniziale G (verde), dall’altro lato la D (rossa), mentre il manico veniva dipinto in bianco al centro e rosso e verde alle due estremità, Quando non poté più avere quei cestini, Minòt s’ingegnò inventando un platò in legno con il manico in ferro (per la praticità del trasporto). Realizzò anche un sistema d’irrigazione, fatto di tubi di plastica, lunghi sei metri, bucati e appoggiati su cavalletti.
La sua coltivazione fu visitata da una delegazione del comune di Peveragno (Cuneo), e una foto, che porta la data 5 giugno 1958, ricorda quell’evento. Altre foto hanno fermato l’attimo di una meritata premiazione su un grande palco davanti alla scuola Nino Costa. A ricevere il premio dalle mani del sindaco Federico Guerrini erano Eugenia o Marilena, ma il merito delle 10 coppe, 3 medaglie d’oro ed 1 d’argento andava al papà. Domenico Gilardi (1917/2010), alpino, vigile e coltivatore, ha avuto un percorso di vita molto lungo durante il quale di San Mauro si è trasformata.
Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.
Come tanti altri coltivatori (ricordati in altri vecchi articoli di questo giornale) hanno lasciato in eredità album fotografici e scatole di latta contenenti foto antiche, vecchie e più recenti che sono la nostra macchina del tempo. In quelle immagini ritroviamo volti e luoghi di una San Mauro che non c’è più.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Eugenia e Marilena Gilardi ci hanno mostrato le loro foto, molte sono in bianco e nero, ma possiamo immaginare quanto i terreni coltivati fossero verdi per le foglie, rossi per i frutti e bianco-gialli, per la paglia che il loro papà buttava fra un filare e l’altro affinché l’erba non crescesse. Fra i filari spicca la figura di Domenico Gilardi, da tutti conosciuto come Minòt. Figlio di Giuseppe Gilardi ed Eugenia Pilone, crebbe fra i filari di via Lunga (Sambuy) e dove ora c’è la farmacia di Sambuy. Assorbì i segreti della coltivazione. Produrre fragole divenne, per lui, una passione che trasmise alla moglie Ernesta Berton e alle figlie Eugenia e Marilena che, il giovedì, accompagnavano la mamma ai mercati generali, dal momento che in quel giorno, negli anni Cinquanta, non si andava a scuola.
Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.
La consegna delle fragole era un piccolo viaggio, il cappuccino preso al bar trasformava quella giornata in un giorno di festa. Ci sono anche foto più recenti, quelle in cui, fra i filari, scorazzano i nipotini Roberto e Paola Antonetto. Quando si fece costruire la casa in via Alfieri (allora via Rapo) per provare il terreno, Minot iniziò con 5 filari, era il 1953, poi divenne il più grande coltivatore di San Mauro. Il suo lavoro ufficiale era quello di vigile urbano di San Mauro; nei mesi d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo per poter andare nei campi prima di recarsi al lavoro. Poi, durante il periodo di raccolta, che durava circa venti giorni, arrivavano ragazze da Locana e da Ronco Canavese, Minòt lavorava con loro perché le ferie le richiedeva per quei giorni, pur rimanendo a disposizione, per il 2 giugno e le domeniche. Le sue fragole erano amate anche dal Prefetto di Torino che negli anni Cinquanta veniva di persona ad acquistarle. Venivano richieste dal ristorante «L’Aquila» che si trovava di fronte al municipio.
Le piantine provenivano da Ferrara, Minòt le faceva arrivare anche per altri coltivatori, la più famosa era la «Bella Ruby»; le fragoline di Bosconero, invece, non erano adatte per quel terreno. Un anziano artigiano che abitava in valle Chianale, gli intrecciava i cestini in vimini che lui voleva personalizzati, così da un lato c’era l’iniziale G (verde), dall’altro lato la D (rossa), mentre il manico veniva dipinto in bianco al centro e rosso e verde alle due estremità, Quando non poté più avere quei cestini, Minòt s’ingegnò inventando un platò in legno con il manico in ferro (per la praticità del trasporto). Realizzò anche un sistema d’irrigazione, fatto di tubi di plastica, lunghi sei metri, bucati e appoggiati su cavalletti.
La sua coltivazione fu visitata da una delegazione del comune di Peveragno (Cuneo), e una foto, che porta la data 5 giugno 1958, ricorda quell’evento. Altre foto hanno fermato l’attimo di una meritata premiazione su un grande palco davanti alla scuola Nino Costa. A ricevere il premio dalle mani del sindaco Federico Guerrini erano Eugenia o Marilena, ma il merito delle 10 coppe, 3 medaglie d’oro ed 1 d’argento andava al papà. Domenico Gilardi (1917/2010), alpino, vigile e coltivatore, ha avuto un percorso di vita molto lungo durante il quale di San Mauro si è trasformata.
Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.
Come tanti altri coltivatori (ricordati in altri vecchi articoli di questo giornale) hanno lasciato in eredità album fotografici e scatole di latta contenenti foto antiche, vecchie e più recenti che sono la nostra macchina del tempo. In quelle immagini ritroviamo volti e luoghi di una San Mauro che non c’è più.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
martedì 9 luglio 2013
Quelli del CURRICULUM BIRRAE
Una serata rivolta ai giovani
per imparare a compilare un
curriculum vitae «come si
deve» in uno dei luoghi preferiti
dai ragazzi: il pub. «Curriculum
Birrae», questo il simpatico
nome dell’iniziativa che
ha tenuto banco – anzi, bancone!
– il 29 aprile al Derry Pub
di San Mauro.
Organizzata dalla Gioc e da alcuni giovani dell’oratorio di San Mauro la serata ha visto la partecipazione di una ventina di persone (fra relatori, animatori, ragazzi e avventori più o meno casuali) interessate a un aspetto fondamentale per l’inserimento nel lavoro. «Portiamo il curriculum, rendiamolo efficace, beviamoci su» lo slogan dell’iniziativa grazie alla preziosa consulenza di Viola, una militante Gioc che ha ricevuto una formazione specifica e ha condiviso l’esperienza di decine di curriculum visionati.
Giovani e lavoro: è un tema caldo, non semplice da trattare, spesso vissuto con scoramento e negatività. Se le generazioni diverse non si parlano, anche il valore di iniziative come questa, dove i giovani aiutano altri giovani condividendo un po’ di tempo, le proprie conoscenze e le proprie capacità. Iniziativa analoghe, cui ci si è ispirati, si sono svolte in altre località, per esempio a Piossasco. Anche se i partecipanti erano in prevalenza universitari, le informazioni sui curriculum sono state apprezzate soprattutto per la spiegazioni di alcuni dettagli e a tante informazioni che normalmente vengono date per scontate o lasciate all’ambiguità di interpretazione: preferire il curriculum in formato europeo e Europass; fare assolutamente attenzione ad errori di battitura; evitare di inserire una foto, a meno che non sia richiesto; elencare le esperienze lavorative e di istruzione partendo dalla più recente, facendo sempre attenzione a non lasciare periodi di «inattività» troppo marcati; inserire poi tutte le caratteristiche personali facendo bene attenzione a suddividerle nelle corrette sezioni e soprattutto… metterci la firma!
Matteo DE DONA'
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Organizzata dalla Gioc e da alcuni giovani dell’oratorio di San Mauro la serata ha visto la partecipazione di una ventina di persone (fra relatori, animatori, ragazzi e avventori più o meno casuali) interessate a un aspetto fondamentale per l’inserimento nel lavoro. «Portiamo il curriculum, rendiamolo efficace, beviamoci su» lo slogan dell’iniziativa grazie alla preziosa consulenza di Viola, una militante Gioc che ha ricevuto una formazione specifica e ha condiviso l’esperienza di decine di curriculum visionati.
Giovani e lavoro: è un tema caldo, non semplice da trattare, spesso vissuto con scoramento e negatività. Se le generazioni diverse non si parlano, anche il valore di iniziative come questa, dove i giovani aiutano altri giovani condividendo un po’ di tempo, le proprie conoscenze e le proprie capacità. Iniziativa analoghe, cui ci si è ispirati, si sono svolte in altre località, per esempio a Piossasco. Anche se i partecipanti erano in prevalenza universitari, le informazioni sui curriculum sono state apprezzate soprattutto per la spiegazioni di alcuni dettagli e a tante informazioni che normalmente vengono date per scontate o lasciate all’ambiguità di interpretazione: preferire il curriculum in formato europeo e Europass; fare assolutamente attenzione ad errori di battitura; evitare di inserire una foto, a meno che non sia richiesto; elencare le esperienze lavorative e di istruzione partendo dalla più recente, facendo sempre attenzione a non lasciare periodi di «inattività» troppo marcati; inserire poi tutte le caratteristiche personali facendo bene attenzione a suddividerle nelle corrette sezioni e soprattutto… metterci la firma!
Matteo DE DONA'
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
lunedì 1 luglio 2013
Cemento STOP
San Mauro va verso un nuovo
Piano urbanistico, con il superamento
delle controverse
Varianti 11 e 14. La notizia è
stata ufficializzata lo scorso 15
aprile, durante un Consiglio
comunale «aperto», il secondo
nella storia locale. Un appuntamento
tenutosi in un luogo
insolito: il teatro «Gobetti»,
gremito in ogni ordine di posti.
Unico ordine del giorno della
serata era il «Futuro urbanistico
della citta: quali strategie?».
Un tema che si conclude con
un interrogativo e forse non è
un caso, tenuto conto di quanto
la questione urbanistica sia
sempre stata foriera di discussioni
accese in città e continui
ad esserlo.
Nella foto: l'assemblea comunale del 15 aprile
La serata ha dato risposta alle numerose richieste avanzate nei mesi precedenti da singoli cittadini, componenti politiche sanmauresi e comitati spontanei contro nuove varianti al Piano regolatore. I presenti hanno avuto la possibilità di richiedere interventi o porre quesiti. Energia sostenibile, sicurezza e sviluppi futuri («smart building») sono stati alcuni degli argomenti che hanno caratterizzato tutta la prima ora, occupata da una relazione del vice sindaco Lucrezia Colurcio. Una lunga lista di punti sulla San Mauro che sarà o che potrebbe diventare in futuro. Quando il pubblico ha iniziato a rumoreggiare, l’Amministrazione ha precisato e comunicato l’unica novità a breve termine: la definizione di una variante strutturale generale al Piano regolatore e un nuovo Documento di programmazione urbanistica (Dpu), mettendo così la parola «fine» sulle Varianti 11 e 14.
Tanti gli interventi, tenuti nel tempo massimo di 3 minuti ciascuno. Non sono mancati commenti politici, soprattutto da parte di consiglieri ed esponenti della minoranza e c’è stato spazio anche per interventi tecnici, sollecitati dall’Amministrazione. «No a nuove edificazioni » ha garantito l’architetto della Provincia di Torino, Paolo Foietta, riferendosi non solo a San Mauro ma all’intero territorio provinciale. «Il Piano territoriale approvato nel mese di agosto 2011 si riferisce a tutta la Provincia di Torino dove si vanno a tutelare le aree agricole contenendo il consumo del suolo» ha precisato Foietta. Come sarà possibile? «Individuando le esigenze delle aree urbane, gli edifici vuoti, riqualificando attraverso nuove cubature senza ulteriore utilizzo di aree agricole», ha risposto l’architetto portando alcuni esempi nella cintura torinese. Cittadini e comitati temono che alle parole non seguano i fatti, mentre una mozione firmata da numerosi consiglieri comunali di minoranza chiede al Comune che a fronte della rinuncia dell’alienazione dell’area di via Asti (Variante 11), il Comune provveda a restituire quanto versato dall’acquirente. Nel frattempo il «Comitato No Varianti» rivendica un ruolo che va oltre all’opposizione a nuovi insediamenti. «Vi è anche un altro aspetto più culturale oltre quello finanziario – scrive in una nota Bruno Bonino, uno dei promotori - Il Comitato No Varianti ha portato, in questi ultimi quattro anni, nel nostro comune, la cultura del limite al consumo di suolo, della tutela del paesaggio ha fatto conoscere alla popolazione le ottime norme del Piano territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino, ha cercato di mettere in evidenza l’importanza di conoscere il dato degli alloggi sfitti prima di costruire nuove abitazioni. Ha parlato di standard urbanistici per i servizi quando l’amministrazione comunale presentava tabelle e conti molto parziali e qualche volta errati».
Nelle foto: i prati di via Musiné e via Asti, preservati da nuove costruzioni.
A San Mauro – come è stato ricordato durante la serata – permangono anche problemi di messa in sicurezza, soprattutto nell’area collinare, dove si registrano frequentemente frane, e nelle aree vicino al fiume Po e ai rii. Un altro tema aperto riguarda l’area dell’autoporto Pescarito: dal 2015 sarà gestita dal Comune che erediterà dal Consorzio Pescarito la gestione delle infrastrutture (strade, illuminazione, rete fognaria) in una fetta di città, confinante con Settimo e Torino, densa di criticità e con sempre meno insediamenti industriali e produttivi. Pescarito occupa 1.141.000 mq e l’anno scorso il Consorzio aveva in cassa circa 200 mila euro, considerati insufficienti a coprire tutte le spese.
Emanuele FRANZOSO
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 25/6/2013
Nella foto: l'assemblea comunale del 15 aprile
La serata ha dato risposta alle numerose richieste avanzate nei mesi precedenti da singoli cittadini, componenti politiche sanmauresi e comitati spontanei contro nuove varianti al Piano regolatore. I presenti hanno avuto la possibilità di richiedere interventi o porre quesiti. Energia sostenibile, sicurezza e sviluppi futuri («smart building») sono stati alcuni degli argomenti che hanno caratterizzato tutta la prima ora, occupata da una relazione del vice sindaco Lucrezia Colurcio. Una lunga lista di punti sulla San Mauro che sarà o che potrebbe diventare in futuro. Quando il pubblico ha iniziato a rumoreggiare, l’Amministrazione ha precisato e comunicato l’unica novità a breve termine: la definizione di una variante strutturale generale al Piano regolatore e un nuovo Documento di programmazione urbanistica (Dpu), mettendo così la parola «fine» sulle Varianti 11 e 14.
Tanti gli interventi, tenuti nel tempo massimo di 3 minuti ciascuno. Non sono mancati commenti politici, soprattutto da parte di consiglieri ed esponenti della minoranza e c’è stato spazio anche per interventi tecnici, sollecitati dall’Amministrazione. «No a nuove edificazioni » ha garantito l’architetto della Provincia di Torino, Paolo Foietta, riferendosi non solo a San Mauro ma all’intero territorio provinciale. «Il Piano territoriale approvato nel mese di agosto 2011 si riferisce a tutta la Provincia di Torino dove si vanno a tutelare le aree agricole contenendo il consumo del suolo» ha precisato Foietta. Come sarà possibile? «Individuando le esigenze delle aree urbane, gli edifici vuoti, riqualificando attraverso nuove cubature senza ulteriore utilizzo di aree agricole», ha risposto l’architetto portando alcuni esempi nella cintura torinese. Cittadini e comitati temono che alle parole non seguano i fatti, mentre una mozione firmata da numerosi consiglieri comunali di minoranza chiede al Comune che a fronte della rinuncia dell’alienazione dell’area di via Asti (Variante 11), il Comune provveda a restituire quanto versato dall’acquirente. Nel frattempo il «Comitato No Varianti» rivendica un ruolo che va oltre all’opposizione a nuovi insediamenti. «Vi è anche un altro aspetto più culturale oltre quello finanziario – scrive in una nota Bruno Bonino, uno dei promotori - Il Comitato No Varianti ha portato, in questi ultimi quattro anni, nel nostro comune, la cultura del limite al consumo di suolo, della tutela del paesaggio ha fatto conoscere alla popolazione le ottime norme del Piano territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino, ha cercato di mettere in evidenza l’importanza di conoscere il dato degli alloggi sfitti prima di costruire nuove abitazioni. Ha parlato di standard urbanistici per i servizi quando l’amministrazione comunale presentava tabelle e conti molto parziali e qualche volta errati».
Nelle foto: i prati di via Musiné e via Asti, preservati da nuove costruzioni.
A San Mauro – come è stato ricordato durante la serata – permangono anche problemi di messa in sicurezza, soprattutto nell’area collinare, dove si registrano frequentemente frane, e nelle aree vicino al fiume Po e ai rii. Un altro tema aperto riguarda l’area dell’autoporto Pescarito: dal 2015 sarà gestita dal Comune che erediterà dal Consorzio Pescarito la gestione delle infrastrutture (strade, illuminazione, rete fognaria) in una fetta di città, confinante con Settimo e Torino, densa di criticità e con sempre meno insediamenti industriali e produttivi. Pescarito occupa 1.141.000 mq e l’anno scorso il Consorzio aveva in cassa circa 200 mila euro, considerati insufficienti a coprire tutte le spese.
Emanuele FRANZOSO
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 25/6/2013
sabato 29 giugno 2013
Madonna Pellegrina quei giorni memorabili
Luglio 1953, cinquant’anni fa. Nel bollettino della parrocchia di San Mauro
«L’Angelo delle Famiglie» troviamo un emozionato ricordo del pellegrinaggio
compiuto tre anni prima dalla Madonna Pellegrina nel territorio sanmaurese
(29 giugno-3 luglio 1950). Il parroco mons. Davide Corino firmava il testo che
qui riproduciamo, mezzo secolo dopo. La statua della Madonna Pellegrina
negli anni 1948-1950 passò attraverso le 330 parrocchie della diocesi torinese
concludendo il pellegrinaggio nel seminario di Rivoli il 29 ottobre 1950. Era
una statua lignea, opera della scuola di Ortisei: riproduceva l’immagine della
Madonna della Consolata, patrona della diocesi, la cui effigie è venerata da
secoli nell’omonimo santuario cittadino. Dal 1979 è ospitata nella parrocchia
della Risurrezione del Signore in Torino. (Enrico Mottura)
Or son tre anni e la tanto aspettata e desiderata Madonna Pellegrina arrivava a San Mauro e si fermava quattro giorni. Ricordate? Da mesi ci si preparava; nella settimana antecedente tutti in moto per l’addobbo delle case e preparare la luminaria. La lunga preparazione spirituale si accentuò nella Festa di S. Pietro; tutta la giornata fu dedicata a parlare della Madonna.
Giovedì 29 giugno – Sono le ore 21. Lo altoparlante dal campanile fa sentire fin nei più remoti posti del paese il concerto delle campane, è l’avviso: la Madonna sta per arrivare. Si parte per la borgata Croce: ecco la Madonna, la si colloca sul carro appositamente preparato; lo ricordate com’era bello? E la Madonna sorridente in mezzo a un giardino di fiori e in uno sfavillio di luci che ha trasformato il paese in un luogo di incanto passa benedicendo tutti. La prima funzione notturna è riservata alle donne.
Venerdì 30 giugno – La Madonna va a visitare le borgate Sambuj (S. Messa); Meirano e Moncanino, nella notte Via Crucis nel paese e visita al Cimitero; funzione che ha suscitato tanta commozione in tutti e tanti seri pensieri, e oh come saranno rallegrati i nostri morti.
Sabato 1 luglio – La Madonna va nello Oltre Po per la S. Messa; e nel pomeriggio attende tutti i bambini per benedirli, e poi va a consolare gli ammalati nell’Ospizio. Alla notte si va ai Pescatori per il rosario meditato, e quando alla mezzanotte la Madonna rientra in chiesa è accompagnata da tutti gli uomini di S. Mauro. La ricordate quella notte, o uomini e giovani? Avete avuto una pallida idea della felicità che vi attende in paradiso. Notte simile non la si rivivrà più tanto facilmente.
Domenica 2 luglio – Nella mattina tutti in Chiesa a trovare la Madonna, nel pomeriggio la processione di penitenza dei bambini; a ricordarla vengono ancora le lacrime agli occhi: a notte visita della Madonna nell’Oltre Po; vedremo ancora uno spettacolo simile? Eravamo tutti stanchi e assetati; ma chi ci pensava? Si stava così bene con la Mamma.
Lunedì 3 luglio – La Madonna va ai Pescatori per la S. Messa, a Villa S. Croce, alle fabbriche, ai vari istituti; per tutto il giorno fu in moto. Ormai eravamo abituati a vivere con Lei e avremmo voluto che restasse sempre in mezzo a noi; ma ohimè! La sera dovette partire per Rivodora. Lo ricordate lo schianto del cuore, le lacrime riversate, il dolore di quell’addio, confortato solo dal pensiero che un giorno l’avremo rivista in Paradiso ove la festa della Madonna sarà eterna. E quando al Martedì sera la Madonna ripassò per poco nel territorio di S. Mauro, la si volle ancora rivedere e tutti accorsero a Sambuj per l’ultimo addio.
È bene ricordare queste cose; fanno del bene, ma è dovere ancora esaminarci se fummo fedeli alle promesse fatte alla Madonna, se abbiamo vissuto la consacrazione che con tanto slancio del cuore avevamo fatta e firmata di nostro pugno. Il ricordo dell’anniversario della venuta della Madonna Pellegrina deve appunto richiamarci al proposito di essere veri devoti della Madonna, devozione che si deve manifestare con una vita interamente cristiana, nella dolce speranza che la Madonna ci faccia sempre da Mamma e che ci accolga un giorno nel bel Paradiso.
(Testo tratto dall’Angelo delle Famiglia, luglio 1953)
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Or son tre anni e la tanto aspettata e desiderata Madonna Pellegrina arrivava a San Mauro e si fermava quattro giorni. Ricordate? Da mesi ci si preparava; nella settimana antecedente tutti in moto per l’addobbo delle case e preparare la luminaria. La lunga preparazione spirituale si accentuò nella Festa di S. Pietro; tutta la giornata fu dedicata a parlare della Madonna.
Giovedì 29 giugno – Sono le ore 21. Lo altoparlante dal campanile fa sentire fin nei più remoti posti del paese il concerto delle campane, è l’avviso: la Madonna sta per arrivare. Si parte per la borgata Croce: ecco la Madonna, la si colloca sul carro appositamente preparato; lo ricordate com’era bello? E la Madonna sorridente in mezzo a un giardino di fiori e in uno sfavillio di luci che ha trasformato il paese in un luogo di incanto passa benedicendo tutti. La prima funzione notturna è riservata alle donne.
Venerdì 30 giugno – La Madonna va a visitare le borgate Sambuj (S. Messa); Meirano e Moncanino, nella notte Via Crucis nel paese e visita al Cimitero; funzione che ha suscitato tanta commozione in tutti e tanti seri pensieri, e oh come saranno rallegrati i nostri morti.
Sabato 1 luglio – La Madonna va nello Oltre Po per la S. Messa; e nel pomeriggio attende tutti i bambini per benedirli, e poi va a consolare gli ammalati nell’Ospizio. Alla notte si va ai Pescatori per il rosario meditato, e quando alla mezzanotte la Madonna rientra in chiesa è accompagnata da tutti gli uomini di S. Mauro. La ricordate quella notte, o uomini e giovani? Avete avuto una pallida idea della felicità che vi attende in paradiso. Notte simile non la si rivivrà più tanto facilmente.
Domenica 2 luglio – Nella mattina tutti in Chiesa a trovare la Madonna, nel pomeriggio la processione di penitenza dei bambini; a ricordarla vengono ancora le lacrime agli occhi: a notte visita della Madonna nell’Oltre Po; vedremo ancora uno spettacolo simile? Eravamo tutti stanchi e assetati; ma chi ci pensava? Si stava così bene con la Mamma.
Lunedì 3 luglio – La Madonna va ai Pescatori per la S. Messa, a Villa S. Croce, alle fabbriche, ai vari istituti; per tutto il giorno fu in moto. Ormai eravamo abituati a vivere con Lei e avremmo voluto che restasse sempre in mezzo a noi; ma ohimè! La sera dovette partire per Rivodora. Lo ricordate lo schianto del cuore, le lacrime riversate, il dolore di quell’addio, confortato solo dal pensiero che un giorno l’avremo rivista in Paradiso ove la festa della Madonna sarà eterna. E quando al Martedì sera la Madonna ripassò per poco nel territorio di S. Mauro, la si volle ancora rivedere e tutti accorsero a Sambuj per l’ultimo addio.
È bene ricordare queste cose; fanno del bene, ma è dovere ancora esaminarci se fummo fedeli alle promesse fatte alla Madonna, se abbiamo vissuto la consacrazione che con tanto slancio del cuore avevamo fatta e firmata di nostro pugno. Il ricordo dell’anniversario della venuta della Madonna Pellegrina deve appunto richiamarci al proposito di essere veri devoti della Madonna, devozione che si deve manifestare con una vita interamente cristiana, nella dolce speranza che la Madonna ci faccia sempre da Mamma e che ci accolga un giorno nel bel Paradiso.
(Testo tratto dall’Angelo delle Famiglia, luglio 1953)
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
martedì 25 giugno 2013
Cattolici e Valdesi, comunità a confronto
Presso il salone della parrocchia
del Sacro Cuore si è tenuto
il 4 aprile un incontro
tra l’Unità pastorale di San
Mauro e la comunità valdese,
rappresentata dal pastore
Paolo Ribet e da alcuni fedeli
sanmauresi. Questo primo
appuntamento promosso dal
Gruppo Missionario dell’Unità
(altri seguiranno in autunno)
ha permesso di ascoltare
da fonte valdese – Ribet – la
narrazione dei fatti che nel
XVI secolo divisero i seguaci
di Pietro Valdo dalla Chiesa
Cattolica. Una lunga cavalcata
nella storia, iniziata nel Medio
Evo, quando nasce il movimento
pauperista di Valdo.
All’origine si trattava di un movimento interno alla Chiesa cattolica: puntava al ritorno alla radicalità del Vangelo, in modo non molto diverso dal movimento francescano e da altre esperienze di quell’epoca. Era un movimento molto esigente. Pietro Valdo, benestante, sebbene sposato, aveva scelto di tornare a una vita celibataria lasciando ogni bene materiale. Erano molte, all’epoca di Valdo, le incomprensioni con la Chiesa, impegnata a fronteggiare le eresie del tempo. Il primo nucleo dei Valdesi non venne comunque considerato eretico, ma tenuto ai margini dalla Chiesa stessa, che secondo Ribet non affrontò mai seriamente la questione: la Chiesa di Torino non prese subito sul serio le popolazioni insediate in Val Pellice, in val Chisone.
Nel 1526 esse tengono un Sinodo sulla Riforma, nel 1531 deliberano di mandare due rappresentanti in Svizzera per raccogliere informazioni sulla Riforma. In Svizzera sono criticati dai calvinisti per la loro vicinanza al cattolicesimo. Sempre nel 1531 tengono un nuovo Sinodo a Champoran (è un prato vicino a Torre Pellice) e a maggioranza, rinunciando alle loro origini e tradizioni, scelgono la Riforma. Calvino manda suoi pastori per avviare la comunità. I pastori valdesi vengono chiamati Barba (zio in patois), i seguaci Barbet. Sono montanari, si tassano per pagare un intellettuale che traduca la Bibbia in francese; sarà la prima traduzione in franco/provenzale. Nel 1536 i francesi si impadroniscono di Torino costringendo alla fuga i Savoia, ai quali restano soltanto i possedimenti di Vercelli e Nizza. Il Re di Francia designa come vice governatore Farel, cugino del Farel riformatore. Governatore è il marchese Giovanni Caracciolo di Melfi, anch’egli protestante.
In Piemonte la Riforma si diffonde in tutto lo Stato sabaudo. La teologia è quella calvinista. Carignano, Cambiano, Pancalieri, parte del saluzzese diventano protestanti. Nelle valli valdesi le chiese cattoliche vengono occupate e i valdesi si fanno catechismi propri. In Francia però le cose vanno diversamente e nel delfinato, a seguito del decreto del parlamento di Ex en Provence, i valdesi sono perseguitati e ne vengono uccisi 800. Nel 1560 Carlo V concede a Emanuele Filiberto di Savoia, suo capace generale, di ricostituire il ducato con lo scopo di creare uno stato cuscinetto. Emanuele Filiberto applica il principio «cuius regio eius et religio», perciò essendo cattolico il Duca, il popolo deve essere cattolico. I Valdesi non si adeguano. L’esercito sabaudo al comando di Filippo di Racconigi occupa il territorio, distrugge i loro libri (a cominciare dalle Bibbie), occupa le chiese. I Valdesi si rifugiano in montagna. cominciano la guerra partigiana.
Per far cessare le ostilità il 5 giugno 1561 si arriva a un concordato tra le due parti, l’Editto di Cavour: stabilisce un’area precisa (la Val Chisone, eccetto Pinerolo, e la Val Pellice) nella quale i Valdesi hanno libertà di culto, di predicazione e insegnamento con la facoltà di raccogliere anche le decime. L’Editto di Cavour evita al Piemonte le guerre di religione, che però non sono evitate in Alta Val di Susa, che in quel momento fa parte del Delfinato francese. Nel 1641 il duca dichiara abrogate le clausole del trattato di Cavour e manda le truppe a convertire i Valdesi agli ordini del marchese di Pianezza. Ricomincia la guerra partigiana e il marchese di Pianezza finisce per ritirare le truppe.
Nel 1685 Luigi XIV, il Re Sole, nipote del capo degli ugonotti, vieta il culto protestante in tutto il suo regno e impone al duca Vittorio Amedeo II, suo cugino, di inviare truppe nella Val Pellice a disperdere gli eretici. In val Chisone, in quel momento francese, ci pensa direttamente il Re Sole con il generale Catinat. Vittorio Amedeo II interviene ob torto collo, perché tra le sue truppe il battaglione più fedele è proprio quello dei valdesi, una minoranza fino a quel giorno protetta dal sovrano. È repressione pesante, ma fatta per mano francese. I Valdesi combattono la guerra partigiana, nella prima fase dell’occupazione molti riparano in Svizzera lasciando case e terreni vuoti; la ripopolazione viene fatta con gruppi di cattolici presi da Vercelli e dalla pianura. I bambini valdesi lasciati con le madri vengono portati a Torino per essere cattolicizzati.
Nel frattempo Vittorio Amedeo rompe l’alleanza con il Re di Francia e si allea con l’Inghilterra e con la Svizzera, consente ai Valdesi di ritornare, ma questi sono impossibilitati perché l’Alta Val Susa è francese. Partiti dalla Svizzera a piedi iniziano quello che chiamano il Grande ritorno, «il» momento epico, guidati da Arnaud. I francesi li aspettano a Salbertrand, loro sfuggono e passando dall’Assietta ritornano nelle loro Valli. Il Re di Francia, in quel momento, sta subendo attacchi da molti fronti (Inghilterra, Olanda, Impero, Spagna e anche dal Savoia) e deve lasciare perdere.
Tra le clausole imposte dagli Svizzeri ai Savoia per stringere l’alleanza c’è la liberazione dei pastori e la restituzione dei bambini. Fino al 1848 i Valdesi godono di tutele complete nell’ambito del trattato di Cavour. Con lo Statuto del 1848 sono parificati a tutti gli altri cittadini.
diacono Roberto PORRATI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
All’origine si trattava di un movimento interno alla Chiesa cattolica: puntava al ritorno alla radicalità del Vangelo, in modo non molto diverso dal movimento francescano e da altre esperienze di quell’epoca. Era un movimento molto esigente. Pietro Valdo, benestante, sebbene sposato, aveva scelto di tornare a una vita celibataria lasciando ogni bene materiale. Erano molte, all’epoca di Valdo, le incomprensioni con la Chiesa, impegnata a fronteggiare le eresie del tempo. Il primo nucleo dei Valdesi non venne comunque considerato eretico, ma tenuto ai margini dalla Chiesa stessa, che secondo Ribet non affrontò mai seriamente la questione: la Chiesa di Torino non prese subito sul serio le popolazioni insediate in Val Pellice, in val Chisone.
Nel 1526 esse tengono un Sinodo sulla Riforma, nel 1531 deliberano di mandare due rappresentanti in Svizzera per raccogliere informazioni sulla Riforma. In Svizzera sono criticati dai calvinisti per la loro vicinanza al cattolicesimo. Sempre nel 1531 tengono un nuovo Sinodo a Champoran (è un prato vicino a Torre Pellice) e a maggioranza, rinunciando alle loro origini e tradizioni, scelgono la Riforma. Calvino manda suoi pastori per avviare la comunità. I pastori valdesi vengono chiamati Barba (zio in patois), i seguaci Barbet. Sono montanari, si tassano per pagare un intellettuale che traduca la Bibbia in francese; sarà la prima traduzione in franco/provenzale. Nel 1536 i francesi si impadroniscono di Torino costringendo alla fuga i Savoia, ai quali restano soltanto i possedimenti di Vercelli e Nizza. Il Re di Francia designa come vice governatore Farel, cugino del Farel riformatore. Governatore è il marchese Giovanni Caracciolo di Melfi, anch’egli protestante.
In Piemonte la Riforma si diffonde in tutto lo Stato sabaudo. La teologia è quella calvinista. Carignano, Cambiano, Pancalieri, parte del saluzzese diventano protestanti. Nelle valli valdesi le chiese cattoliche vengono occupate e i valdesi si fanno catechismi propri. In Francia però le cose vanno diversamente e nel delfinato, a seguito del decreto del parlamento di Ex en Provence, i valdesi sono perseguitati e ne vengono uccisi 800. Nel 1560 Carlo V concede a Emanuele Filiberto di Savoia, suo capace generale, di ricostituire il ducato con lo scopo di creare uno stato cuscinetto. Emanuele Filiberto applica il principio «cuius regio eius et religio», perciò essendo cattolico il Duca, il popolo deve essere cattolico. I Valdesi non si adeguano. L’esercito sabaudo al comando di Filippo di Racconigi occupa il territorio, distrugge i loro libri (a cominciare dalle Bibbie), occupa le chiese. I Valdesi si rifugiano in montagna. cominciano la guerra partigiana.
Per far cessare le ostilità il 5 giugno 1561 si arriva a un concordato tra le due parti, l’Editto di Cavour: stabilisce un’area precisa (la Val Chisone, eccetto Pinerolo, e la Val Pellice) nella quale i Valdesi hanno libertà di culto, di predicazione e insegnamento con la facoltà di raccogliere anche le decime. L’Editto di Cavour evita al Piemonte le guerre di religione, che però non sono evitate in Alta Val di Susa, che in quel momento fa parte del Delfinato francese. Nel 1641 il duca dichiara abrogate le clausole del trattato di Cavour e manda le truppe a convertire i Valdesi agli ordini del marchese di Pianezza. Ricomincia la guerra partigiana e il marchese di Pianezza finisce per ritirare le truppe.
Nel 1685 Luigi XIV, il Re Sole, nipote del capo degli ugonotti, vieta il culto protestante in tutto il suo regno e impone al duca Vittorio Amedeo II, suo cugino, di inviare truppe nella Val Pellice a disperdere gli eretici. In val Chisone, in quel momento francese, ci pensa direttamente il Re Sole con il generale Catinat. Vittorio Amedeo II interviene ob torto collo, perché tra le sue truppe il battaglione più fedele è proprio quello dei valdesi, una minoranza fino a quel giorno protetta dal sovrano. È repressione pesante, ma fatta per mano francese. I Valdesi combattono la guerra partigiana, nella prima fase dell’occupazione molti riparano in Svizzera lasciando case e terreni vuoti; la ripopolazione viene fatta con gruppi di cattolici presi da Vercelli e dalla pianura. I bambini valdesi lasciati con le madri vengono portati a Torino per essere cattolicizzati.
Nel frattempo Vittorio Amedeo rompe l’alleanza con il Re di Francia e si allea con l’Inghilterra e con la Svizzera, consente ai Valdesi di ritornare, ma questi sono impossibilitati perché l’Alta Val Susa è francese. Partiti dalla Svizzera a piedi iniziano quello che chiamano il Grande ritorno, «il» momento epico, guidati da Arnaud. I francesi li aspettano a Salbertrand, loro sfuggono e passando dall’Assietta ritornano nelle loro Valli. Il Re di Francia, in quel momento, sta subendo attacchi da molti fronti (Inghilterra, Olanda, Impero, Spagna e anche dal Savoia) e deve lasciare perdere.
Tra le clausole imposte dagli Svizzeri ai Savoia per stringere l’alleanza c’è la liberazione dei pastori e la restituzione dei bambini. Fino al 1848 i Valdesi godono di tutele complete nell’ambito del trattato di Cavour. Con lo Statuto del 1848 sono parificati a tutti gli altri cittadini.
diacono Roberto PORRATI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
martedì 18 giugno 2013
Verso il Servizio per il Lavoro
Accompagnamento delle persone
in difficoltà con il lavoro:
concluso il percorso formativo
che in quattro sabati da gennaio
a marzo ha impegnato
numerosi volontari di Torino e
di altre diocesi (Cuneo, ad esempio),
l’Arcivescovo mons. Cesare
Nosiglia ha voluto incontrare
mercoledì 10 aprile tutti i
gruppi coinvolti, tra cui quelli
dell’Unità Pastorale sanmaurese
(San Vincenzo, Azione Cattolica,
Gruppo famiglie, Centro
d’ascolto). Il nascente Servizio
per il Lavoro, fortemente sostenuto
da Nosiglia, è coordinato
dall’Ufficio Pastorale Sociale e
del Lavoro di Torino, in collaborazione
con gli enti di formazione
professionale Egim Piemonte
e Fondazione Casa di Carità
Arti e Mestieri
Prendendo la parola all’inizio dell’incontro don Daniele Bortolussi (direttore dell’Ufficio) e Chiara Labasin (referente per il progetto «Servizio per il lavoro ») hanno sottolineato l’intenzione «di aiutare le parrocchie ad attivare nuovi gruppi di animazione sulla tematica del lavoro, il grande problema della nostra società». In estrema sintesi, si prevede la promozione di riflessioni capaci di animare le comunità sui temi sociali, anche attraverso momenti di confronto e di preghiera funzionali alla costituzione di «sportelli lavoro » gestiti da volontari, tali da fornire un fattivo supporto alla ricerca di un’occupazione.
«Principalmente – spiega la coordinatrice sanmaurese Anna Comollo – i volontari dovranno far leva sulla autopromozione delle persone, sulla loro autonomia e sul superamento del concetto di mera assistenza, per far sì che la ricerca di un impiego sia un impegno costante e cosciente. Prevediamo di avviare l’operatività a partire da settembre/ ottobre attivando diversi punti d’informazione (bacheche) presso le parrocchie, dove saranno riportate le informazioni che possono aiutare ad orientarsi nella ricerca del lavoro. Successivamente saranno organizzati momenti d’incontro focalizzati su argomenti specifici quali, ad esempio, come preparare un curriculum, come presentarsi/ prepararsi ad un colloquio, l’importanza della formazione permanente di un candidato, le tipologie di lavoro maggiormente presenti nell’area sanmaurese, ecc.
È prevista anche la possibilità di operare in rete con le altre organizzazioni esistenti sul territorio come: agenzie interinali, centri per l’impiego, altre parrocchie che già hanno attivato il Servizio per il Lavoro». I parroci don Claudio Furnari e don Ilario Corazza sottolineano l’importanza dell’iniziativa, suggerita dallo stesso Arcivescovo in occasione della sua Visita pastorale dello scorso anno. «Nella speranza di fornire un aiuto concreto – hanno affermato - faremo del nostro meglio per accompagnare le persone in difficoltà su questo fronte, facendo sentire loro come la Chiesa gli sia accanto in tutte le occasioni della vita».
Piero NEBBIA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Prendendo la parola all’inizio dell’incontro don Daniele Bortolussi (direttore dell’Ufficio) e Chiara Labasin (referente per il progetto «Servizio per il lavoro ») hanno sottolineato l’intenzione «di aiutare le parrocchie ad attivare nuovi gruppi di animazione sulla tematica del lavoro, il grande problema della nostra società». In estrema sintesi, si prevede la promozione di riflessioni capaci di animare le comunità sui temi sociali, anche attraverso momenti di confronto e di preghiera funzionali alla costituzione di «sportelli lavoro » gestiti da volontari, tali da fornire un fattivo supporto alla ricerca di un’occupazione.
«Principalmente – spiega la coordinatrice sanmaurese Anna Comollo – i volontari dovranno far leva sulla autopromozione delle persone, sulla loro autonomia e sul superamento del concetto di mera assistenza, per far sì che la ricerca di un impiego sia un impegno costante e cosciente. Prevediamo di avviare l’operatività a partire da settembre/ ottobre attivando diversi punti d’informazione (bacheche) presso le parrocchie, dove saranno riportate le informazioni che possono aiutare ad orientarsi nella ricerca del lavoro. Successivamente saranno organizzati momenti d’incontro focalizzati su argomenti specifici quali, ad esempio, come preparare un curriculum, come presentarsi/ prepararsi ad un colloquio, l’importanza della formazione permanente di un candidato, le tipologie di lavoro maggiormente presenti nell’area sanmaurese, ecc.
È prevista anche la possibilità di operare in rete con le altre organizzazioni esistenti sul territorio come: agenzie interinali, centri per l’impiego, altre parrocchie che già hanno attivato il Servizio per il Lavoro». I parroci don Claudio Furnari e don Ilario Corazza sottolineano l’importanza dell’iniziativa, suggerita dallo stesso Arcivescovo in occasione della sua Visita pastorale dello scorso anno. «Nella speranza di fornire un aiuto concreto – hanno affermato - faremo del nostro meglio per accompagnare le persone in difficoltà su questo fronte, facendo sentire loro come la Chiesa gli sia accanto in tutte le occasioni della vita».
Piero NEBBIA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
venerdì 14 giugno 2013
Futuri Preti
Fra i seminaristi che saranno ordinati
preti domenica 15 giugno
alle 10 nella Cattedrale di Torino
figurano Alberto Nigra e Danilo
Piras, due volti noti a San Mauro
Torinese per aver prestato servizio
nelle parrocchie di Sant’Anna
e San Benedetto. Sabato 22
alle 18 i novelli preti celebreranno
le prime Messe a Santa Maria
di Pulcherada.
Lo scorso mese di novembre,
domenica 18, Alberto e Danilo
hanno ricevuto il primo grado
dell’Ordine (diaconato) sempre
in Cattedrale, in concomitanza
con l’apertura del Sinodo dei
Giovani e con l’ordinazione diaconale
di altri 8 futuri sacerdoti.
L’avvenimento è stato partecipato
da una folta rappresentanza di sanmauresi.
All’altro capo del mondo,
in Colombia, hanno
recentemente pronunciato
la loro professione solenne
suor Mariella e suor Virginia,
altre figure molto care a
San Mauro: appartenenti al
Famulato Cristiano, hanno
operato negli anni passati nei
gruppi giovanili dell’Unità
pastorale.
A tutti loro vanno i migliori
auguri per la prosecuzione
del loro cammino e il
ringraziamento per l’attività
svolta in questi anni sul
nostro territorio.
Nella foto: le ordinazioni diaconali del 18 novembre 2012
Stefano CARENA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 26/5/2013
Nella foto: le ordinazioni diaconali del 18 novembre 2012
Stefano CARENA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 26/5/2013
sabato 1 giugno 2013
Al termine delle scuole, bambini,
ragazzi animatori e famiglie di
San Mauro sanno che nelle parrocchie
le attività non finiranno:
restano sempre molto vivaci. Anche
quest’anno, come sempre,
saranno riproposte le settimane
di Estate Ragazzi di Unità Pastorale
e i Campi Estivi per i bambini
dalle elementari alle medie: il
calendario è pubblicato su questo
numero di Testata d’Angolo
a pagina IV.
Le attività estive sono un «servizio
» alle famiglie e un’occasione
forte di socializzazione
e crescita per tanti bambini e
ragazzi.
Estate: la stagione in cui maturano le attese. Non è infatti solo il periodo di agognata vacanza per i giovani studenti, ma è anche la stagione in cui animatori, educatori e catechisti chiudono un ciclo, un anno di formazione nei gruppi tenuti dall’autunno alla primavera nelle parrocchie. I Campi Estivi sono una bella conclusione di gruppo e possono essere un lancio per l’anno successivo.
Estate, tempo di occasione anche per gli animatori di estate ragazzi che mettono a disposizione in maniera utile, responsabile, ma anche divertente, il proprio servizio.Chiara Ventrella, una delle responsabili insieme a Elisa Bordin e Daniele Catalano, spiega alcuni punti importanti dell’Estate Ragazzi: «tutti i giorni faremo attività e giochi legati a una lunga storia che ci accompagnerà per tutti i centri estivi! L’idea è quella di riuscire a divertirsi stando tutti insieme, rispettandosi; molto importante sarà il momento di preghiera che sarà presente ogni giorno». Le giornate sono scandite da grandi giochi, tornei sportivi, gite, laboratori e attività sempre nuove che stimolano i ragazzini sotto vari aspetti, in particolare quel che riguarda il fare le cose insieme, il gioco come la preghiera».
L’Estate Ragazzi di Unità Pastorale, arrivata alla sua settima edizione si svolgerà dal 17 giugno al 19 luglio, più quella di rientro dopo le vacanze dal 2 al 6 settembre. Quest’anno la novità più grande è anche la possibilità di un’Estate Ragazzi, sperimentalmente solo al pomeriggio, che si terrà a Sant’Anna per la settimana dal 17 al 21 giugno. I luoghi in cui si svolgerà l’Estate ragazzi full time saranno a San Benedetto la prima settimana, a Sant’Anna la seconda, al Sacro Cuore le tre rimanenti prima della pausa e a Santa Maria quella di settembre. La formazione dei giovani animatori ha il suo momento culminante in quattro incontri prima dell’estate in cui approfondire quali siano le regole comuni e quale sia il compito di un animatore; il secondo più operativo per prendere confidenza con giochi e temi di quest’anno; il terzo incontro la divisione organizzativa per le varie settimane; infine un incontro per imparare nuovi bans e per preparare il materiale per l’inizio della prima settimana. C’è da dire che però molti animatori hanno già avuto modo per tutto l’anno di darsi da fare per l’Oratorio (che si tiene a Sambuy il sabato pomeriggio) che ha avuto quest’anno una presenza costante da parte di un grintoso gruppo che ha avuto importanti compiti di organizzazione e non solo la mera presenza.
In contemporanea all’Estate Ragazzi sarà anche l’atteso momento dei campi estivi nelle case alpine dell’Unità Pastorale. Accompagnati dagli animatori, dalle cuoche e dagli assistenti spirituali, i ragazzi possono vivere un’esperienza di indipendenza, lontani dalla città (e in alcuni casi per la prima volta dai propri genitori) e vivere in maggior pienezza uno spirito di comunità, amicizia e vicinanza con il Creato. In questi campi si segue una storia, a volte ricavata dalla vita o dalle opere di qualche personaggio biblico, a volte ricamata sulle passioni dei ragazzi, in modo da coinvolgerli in maniera completa. Naturalmente non mancano mai giochi, gite, attività di ogni tipo e – per i ragazzi più grandi – gli immancabili turni di pulizia che rendono, almeno per una settimana, tutti un po’ più responsabili.
Il calendario dei campi vede cominciare la II e III elementare con il loro campo a Pialpetta dal 12 al 16 giugno, IV e V dal 16 al 23 giugno sempre a Pialpetta e in contemporanea anche a Oulx. I e II media saranno a Pialpetta e Oulx dal 23 al 30 giugno; la III media a Oulx dal 30 al 7 luglio. Per i ragazzi delle superiori anche quest’anno la proposta sarà legata all’Azione Cattolica; come lo scorso anno i ragazzi interessati delle varie parrocchie sanmauresi potranno unirsi ai loro coetanei da tutta la diocesi. Dall’1 al 6 luglio e dall’8 al 13 luglio si terranno i campi per il biennio, dal 15 al 20 luglio quelli per il triennio, tutti a Claviere.
Matteo DE DONA'
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 26/5/2013
Estate: la stagione in cui maturano le attese. Non è infatti solo il periodo di agognata vacanza per i giovani studenti, ma è anche la stagione in cui animatori, educatori e catechisti chiudono un ciclo, un anno di formazione nei gruppi tenuti dall’autunno alla primavera nelle parrocchie. I Campi Estivi sono una bella conclusione di gruppo e possono essere un lancio per l’anno successivo.
Estate, tempo di occasione anche per gli animatori di estate ragazzi che mettono a disposizione in maniera utile, responsabile, ma anche divertente, il proprio servizio.Chiara Ventrella, una delle responsabili insieme a Elisa Bordin e Daniele Catalano, spiega alcuni punti importanti dell’Estate Ragazzi: «tutti i giorni faremo attività e giochi legati a una lunga storia che ci accompagnerà per tutti i centri estivi! L’idea è quella di riuscire a divertirsi stando tutti insieme, rispettandosi; molto importante sarà il momento di preghiera che sarà presente ogni giorno». Le giornate sono scandite da grandi giochi, tornei sportivi, gite, laboratori e attività sempre nuove che stimolano i ragazzini sotto vari aspetti, in particolare quel che riguarda il fare le cose insieme, il gioco come la preghiera».
L’Estate Ragazzi di Unità Pastorale, arrivata alla sua settima edizione si svolgerà dal 17 giugno al 19 luglio, più quella di rientro dopo le vacanze dal 2 al 6 settembre. Quest’anno la novità più grande è anche la possibilità di un’Estate Ragazzi, sperimentalmente solo al pomeriggio, che si terrà a Sant’Anna per la settimana dal 17 al 21 giugno. I luoghi in cui si svolgerà l’Estate ragazzi full time saranno a San Benedetto la prima settimana, a Sant’Anna la seconda, al Sacro Cuore le tre rimanenti prima della pausa e a Santa Maria quella di settembre. La formazione dei giovani animatori ha il suo momento culminante in quattro incontri prima dell’estate in cui approfondire quali siano le regole comuni e quale sia il compito di un animatore; il secondo più operativo per prendere confidenza con giochi e temi di quest’anno; il terzo incontro la divisione organizzativa per le varie settimane; infine un incontro per imparare nuovi bans e per preparare il materiale per l’inizio della prima settimana. C’è da dire che però molti animatori hanno già avuto modo per tutto l’anno di darsi da fare per l’Oratorio (che si tiene a Sambuy il sabato pomeriggio) che ha avuto quest’anno una presenza costante da parte di un grintoso gruppo che ha avuto importanti compiti di organizzazione e non solo la mera presenza.
In contemporanea all’Estate Ragazzi sarà anche l’atteso momento dei campi estivi nelle case alpine dell’Unità Pastorale. Accompagnati dagli animatori, dalle cuoche e dagli assistenti spirituali, i ragazzi possono vivere un’esperienza di indipendenza, lontani dalla città (e in alcuni casi per la prima volta dai propri genitori) e vivere in maggior pienezza uno spirito di comunità, amicizia e vicinanza con il Creato. In questi campi si segue una storia, a volte ricavata dalla vita o dalle opere di qualche personaggio biblico, a volte ricamata sulle passioni dei ragazzi, in modo da coinvolgerli in maniera completa. Naturalmente non mancano mai giochi, gite, attività di ogni tipo e – per i ragazzi più grandi – gli immancabili turni di pulizia che rendono, almeno per una settimana, tutti un po’ più responsabili.
Il calendario dei campi vede cominciare la II e III elementare con il loro campo a Pialpetta dal 12 al 16 giugno, IV e V dal 16 al 23 giugno sempre a Pialpetta e in contemporanea anche a Oulx. I e II media saranno a Pialpetta e Oulx dal 23 al 30 giugno; la III media a Oulx dal 30 al 7 luglio. Per i ragazzi delle superiori anche quest’anno la proposta sarà legata all’Azione Cattolica; come lo scorso anno i ragazzi interessati delle varie parrocchie sanmauresi potranno unirsi ai loro coetanei da tutta la diocesi. Dall’1 al 6 luglio e dall’8 al 13 luglio si terranno i campi per il biennio, dal 15 al 20 luglio quelli per il triennio, tutti a Claviere.
Matteo DE DONA'
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 26/5/2013
domenica 26 maggio 2013
Mamma Angioletta
La velocità del nostro vivere
quotidiano fa sì che spesso non
ci accorgiamo del bene costruito
dal Regno di Dio intorno a
noi, concretamente. Fa sì che
non notiamo le persone impegnate
a costruire questo regno
di amore e di pace ogni giorno.
Ecco perché vogliamo porre alla
vostra attenzione il ricordo di
una sanmaurese che ha dedicato
la propria vita al Signore servendolo
nei bambini senza genitori:
Angioletta Bertolè, conosciuta
come Mamma Angioletta, accolta
dal Padre lo scorso venerdì
3 maggio.
Mamma Angioletta faceva parte della comunità Opera Pia del Sacro Cuore (via Montebianco 36), retta da consacrate laiche di spiritualità domenicana e nata nel 1942 dall’ispirazione di Padre Angelico Pistarino (domenicano), che voleva dare una casa e una famiglia ai bambini orfani. Padre Pistarino non voleva porre in essere «un orfanotrofio dove i bimbi, inquadrati da una vita comune e da un severo regolamento, sotto l’occhio vigile di religiose o religiosi assistenti, trascorrono, l’uno accanto all’altro, gli anni della fanciullezza in un’atmosfera gelida , nella quale l’alito della carità cristiana cerca di supplire l’assenza di un focolare domestico e di un cuore materno; ma invece una Casa dove i bimbi vivono la loro vita di famiglia composta non più di dieci bambini, una casa nella quale palpiti la fiamma dell’amore di una mamma accanto a piccoli cuori che si aprono» (dal libretto «Casa del Sacro Cuore» scritto nel XXV anniversario di fondazione).
Una di queste donne dal 1944 è stata proprio la signorina Angioletta Bertolè, che nel 1947 divenne la mamma della comunità, presto affiancata dalla signorina Mercede Petrucci, che arrivava dalla Toscana, e che da tutti fu chiamata la Tata. La mamma Angioletta e la tata hanno cresciuto, nel tempo, una quarantina di bambini e bambine facendo loro vivere l’esperienza di amore di una famiglia e conoscere l’amore concreto di Dio. Si sono donate a tanti bambini dando loro l’amore di una mamma. L’amare di mamma Angioletta era il modo concreto per rispondere alla chiamata di particolare consacrazione che il Signore le aveva donato: non era fatto di sentimentalismi superficiali, ma di convinzioni di fede forti e di concretezza dell’amore di Dio. Man mano i bimbi sono cresciuti, hanno lasciato la casa, hanno fatto scelte da adulti nella loro vita e hanno continuato a frequentare la casa del Sacro Cuore con le loro nuove famiglie e i loro figli. La mamma e la tata hanno così fatto anche da «nonne».
Questa grande famiglia si è radunata lunedì 6 maggio nella parrocchia di Sant’Anna per ringraziare Dio per il dono della Mamma, certi che dal cielo continua a seguirli con la concretezza vissuta nella sua lunga vita.
Don Claudio e Don Ilario
Lettera pubblicata su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Mamma Angioletta faceva parte della comunità Opera Pia del Sacro Cuore (via Montebianco 36), retta da consacrate laiche di spiritualità domenicana e nata nel 1942 dall’ispirazione di Padre Angelico Pistarino (domenicano), che voleva dare una casa e una famiglia ai bambini orfani. Padre Pistarino non voleva porre in essere «un orfanotrofio dove i bimbi, inquadrati da una vita comune e da un severo regolamento, sotto l’occhio vigile di religiose o religiosi assistenti, trascorrono, l’uno accanto all’altro, gli anni della fanciullezza in un’atmosfera gelida , nella quale l’alito della carità cristiana cerca di supplire l’assenza di un focolare domestico e di un cuore materno; ma invece una Casa dove i bimbi vivono la loro vita di famiglia composta non più di dieci bambini, una casa nella quale palpiti la fiamma dell’amore di una mamma accanto a piccoli cuori che si aprono» (dal libretto «Casa del Sacro Cuore» scritto nel XXV anniversario di fondazione).
Una di queste donne dal 1944 è stata proprio la signorina Angioletta Bertolè, che nel 1947 divenne la mamma della comunità, presto affiancata dalla signorina Mercede Petrucci, che arrivava dalla Toscana, e che da tutti fu chiamata la Tata. La mamma Angioletta e la tata hanno cresciuto, nel tempo, una quarantina di bambini e bambine facendo loro vivere l’esperienza di amore di una famiglia e conoscere l’amore concreto di Dio. Si sono donate a tanti bambini dando loro l’amore di una mamma. L’amare di mamma Angioletta era il modo concreto per rispondere alla chiamata di particolare consacrazione che il Signore le aveva donato: non era fatto di sentimentalismi superficiali, ma di convinzioni di fede forti e di concretezza dell’amore di Dio. Man mano i bimbi sono cresciuti, hanno lasciato la casa, hanno fatto scelte da adulti nella loro vita e hanno continuato a frequentare la casa del Sacro Cuore con le loro nuove famiglie e i loro figli. La mamma e la tata hanno così fatto anche da «nonne».
Questa grande famiglia si è radunata lunedì 6 maggio nella parrocchia di Sant’Anna per ringraziare Dio per il dono della Mamma, certi che dal cielo continua a seguirli con la concretezza vissuta nella sua lunga vita.
Don Claudio e Don Ilario
Lettera pubblicata su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
venerdì 26 aprile 2013
Noi che il teatro
Noi che ci portavano all’oratorio quando neanche sapevamo cosa fosse.
Noi che non avevamo una chiara idea del motivo per cui ci riunissero tutti in una stanza per farci cantare.
Noi che l’Arca di Noè.
Noi che il poster, dell’Arca di Noè, con i nomi di chi aveva partecipato, che è stato appeso sulla porta di una delle salette per un sacco di anni.
Noi gatti, tigri del Bengala, colombe, oche, ippopotami, rane, pesci e caprette senza barbetta.
Noi che Okay, si può.
Noi che Verde è vita.
Noi che essere truccati ci terrorizzava.
Noi che ogni sabato, dalle tre alle sei.
Noi che lo spettacolo dei piccoli prima, quello dei grandi dopo.
Noi che gli spettacoli di Natale sono un po’ tutti uguali.
Noi che «io non faccio il balletto perché voglio recitare».
Noi che «a sapere che la mia parte era questa… avrei preferito il balletto!»
Noi che diciamocelo, le prime prove in teatro erano sempre un disastro.
Noi che ci chiedevamo perché mai ci fosse una botola sul palco, e cosa ci fosse sotto.
Noi che i pantaloni, le maglie, i body e le calze persi dietro le quinte.
Noi che i copioni e le nostre battute sottolineate con gli evidenziatori.
Noi che «ssssh, che i microfoni sono accesi!».
Noi che il tasto da schiacciare per aprire il sipario.
Noi che l’ansia quando venivano decisi i solisti.
Noi che il bagno in fondo al teatro aveva sempre qualcosa di losco.
Noi che Fiocca La Neve e Guido Le Renne.
Noi che Baby Grease, dove tutti i ragazzi si chiamavamo «B» e le ragazze «BA».
Noi che I miei primi cento anni, in cui eravamo tanti, ma veramente tanti. Quasi quanto gli anni.
Noi che quella volta in cui hanno ballato anche i maschi.
Noi che la canzone degli animatori alla fine dello spettacolo.
Noi che abbiamo cantato We are the world e ballato Jingle bells rock così tante volte da averne perso il conto.
Noi che come si fa il nodo alla cravatta?
Noi sullo stesso palco su cui hanno ballato, cantato e recitato i nostri genitori.
Noi che bastava una scenetta ed un balletto per chiamarlo spettacolo.
Noi che il Presepe vivente.
Noi che i fiori e il biglietto per gli animatori.
Noi che, tanti anni dopo, L’isola di Nede.
Noi che Let it be, C’era un ragazzo, Sambamico, Smoke on the water, Il mio nome è mai più, Jesus Christ Superstar, Grease Lightening, È Natale, Oh Happy Day, Samelù, Yesterday, Another brick in the wall...
Noi che il Can Can, il Charleston, e quella volta in cui, un po’ a corto di idee, tanto per cambiare abbiamo scelto Jingle bells rock.
Noi che il Fantasma dei Natali presenti, passati e futuri, noi che «Vorrei un caffè ristretto corretto brandy», noi che «Dimmi tutto, cocco», noi che «In via Ba… in via Ba…», noi che «… Lucifero!»
Noi che Risposta non c’è, o forse chi lo sa.
Noi che sembra passata una vita.
Noi che sembra ieri.
Noi che la prova il giovedì sera la settimana dello spettacolo.
Noi che le travi di legno che scricchiolano sotto i piedi, la luce puntata negli occhi, le facce conosciute in mezzo al pubblico, il caldo infernale e l’urlo tutti insieme prima di iniziare.
Noi che le battute dimenticate, i passi sbagliati, i microfoni che fischiano.
Noi che alla fine si risolveva tutto con una risata.
Noi che tutti quanti, da chi ci è stato una volta a chi c’è stato venti, ci meritiamo un grande applauso.
Noi che basta ripensarci per sorridere.
Noi che chi lo sa, potremmo sempre ritornarci.
Noi che grazie.
Cristina PAROLA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
mercoledì 17 aprile 2013
Festa della Pace
La Festa della Pace, celebrata a Torino il 3 febbraio dall’Azione
Cattolica Diocesana con la partecipazione
di un folto gruppo
di sanmauresi, è un appuntamento
che si ripete da molti
anni. Rappresenta il culmine
di un percorso che i bambini
e i ragazzi di tante parrocchie
compiono nel mese di gennaio,
riflettendo appunto sui temi
della pace durante gli incontri
settimanali con i propri catechisti
ed educatori.
I catechisti/educatori animano
il percorso di 4 incontri sulla
base di un mini-sussidio preparato
dall’équipe diocesana Acr
(Azione Cattolica Ragazzi) per le scuole elementari e medie, dall’
Ufficio Giovani per le superiori.
Ogni anno si fa riferimento alle
parole pronunciate dal Papa
nel giorno della Festa mondiale
della Pace (1 gennaio).
Quest’anno il discorso di Benedetto XVI era centrato sugli «operatori» di pace. I ragazzi ne hanno discusso con particolare riferimento al territorio in cui vivono e alle situazioni prive di servizi o di aiuti per le persone più bisognose, in difficoltà. Hanno dedicato cartelloni e plastici alla proposta di interventi per migliorare alcuni aspetti della propria città, quartiere, parrocchia. Nel giorno della Festa conclusiva i ragazzi di San Mauro hanno incontrati quelli delle altre parrocchie presso l’Arsenale della Pace di Torino (Sermig).
La mattina di domenica 3 febbraio, dopo un momento Segue da pagina I di accoglienza e ballo, sono stati divisi in squadre sulla base delle diverse fasce di età. Per i ragazzi delle elementari e delle medie c’èera un gioco a stand, finalizzato a costruire la «città della pace». Per i ragazzi delle superiori attività di riflessione e condivisione in gruppo. Nel primo pomeriggio Messa nella chiesa del Cottolengo, celebrata da don Marco Ghiazza (assistente diocesano Acr), don Luca Ramello (assistente Giovani) e don Stefano Bertoldini, viceparroco della Crocetta.
La Marcia della Pace è partita dopo la Messa con musica, canti, balli, palloncini, molto festosa. Ha fatto tappa al Cottolengo (il Santo fondatore fu operatore di pace con i malati e le persone in difficoltà), la Basilica di Maria Ausiliatrice (san Giovanni Bosco costruttore di pace con i giovani), il monumento a San Giuseppe Cafasso (operatore di pace con i carcerati e i condannati a morte), al Sermig che è Arsenale «della pace». Al termine della marcia (che ha seguito come percorso via Cottolengo, via Maria Ausiliatrice, piazza Maria Ausiliatrice, corso Regina Margherita, piazza della Repubblica, lungo Dora Agrigento, Sermig), ci si è ritrovati nell’Arsenale della Pace per un ultimo momento di preghiera e testimonianze di solidarietà a cura della confraternita del Sermig. Infine merenda e balli tutti insieme.
Elisa BORDIN
Articolo pubblicato
Quest’anno il discorso di Benedetto XVI era centrato sugli «operatori» di pace. I ragazzi ne hanno discusso con particolare riferimento al territorio in cui vivono e alle situazioni prive di servizi o di aiuti per le persone più bisognose, in difficoltà. Hanno dedicato cartelloni e plastici alla proposta di interventi per migliorare alcuni aspetti della propria città, quartiere, parrocchia. Nel giorno della Festa conclusiva i ragazzi di San Mauro hanno incontrati quelli delle altre parrocchie presso l’Arsenale della Pace di Torino (Sermig).
La mattina di domenica 3 febbraio, dopo un momento Segue da pagina I di accoglienza e ballo, sono stati divisi in squadre sulla base delle diverse fasce di età. Per i ragazzi delle elementari e delle medie c’èera un gioco a stand, finalizzato a costruire la «città della pace». Per i ragazzi delle superiori attività di riflessione e condivisione in gruppo. Nel primo pomeriggio Messa nella chiesa del Cottolengo, celebrata da don Marco Ghiazza (assistente diocesano Acr), don Luca Ramello (assistente Giovani) e don Stefano Bertoldini, viceparroco della Crocetta.
La Marcia della Pace è partita dopo la Messa con musica, canti, balli, palloncini, molto festosa. Ha fatto tappa al Cottolengo (il Santo fondatore fu operatore di pace con i malati e le persone in difficoltà), la Basilica di Maria Ausiliatrice (san Giovanni Bosco costruttore di pace con i giovani), il monumento a San Giuseppe Cafasso (operatore di pace con i carcerati e i condannati a morte), al Sermig che è Arsenale «della pace». Al termine della marcia (che ha seguito come percorso via Cottolengo, via Maria Ausiliatrice, piazza Maria Ausiliatrice, corso Regina Margherita, piazza della Repubblica, lungo Dora Agrigento, Sermig), ci si è ritrovati nell’Arsenale della Pace per un ultimo momento di preghiera e testimonianze di solidarietà a cura della confraternita del Sermig. Infine merenda e balli tutti insieme.
Elisa BORDIN
Articolo pubblicato
su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
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martedì 2 aprile 2013
Scuola Genitori educare all'amore
Quattro incontri della «Scuola genitori» dall’Unità pastorale
di San Mauro si sono svolti anche quest’anno,
nei mesi di gennaio e febbraio, presso l’auditorium della
Scuola media Carlo Alberto Dalla Chiesa, in via Speranza
40. Tema generale: «Educare al sesso-amore».
Quattro i temi specifici delle diverse serate: «Le inestimabili
ricompense dell’amore»; «Buongusto, disgusto e
pudore»; «Quando la sessualità genera unione, quando
produce delusione»; «Banalità del sesso, il sesso virtuale
e la facile alternativa del web». Apprezzato relatore è stato
don Domenico Cravero, parroco a Settimo Torinese.
Ciascuna serata era suddivisa in vari momenti. Innanzi
tutto un momento di accoglienza e introduzione al
tema; poi un breve lavoro di gruppo, durante il quale i
genitori mettevano a confronto le proprie esperienze rispetto
all’educazione dei loro figli; infine le conclusioni
della serata.
Come nelle scorse edizioni, i genitori sanmauresi sono
stati molto interessati e hanno partecipato con entusiasmo
all’iniziativa.
Luciana PORCELLI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
Luciana PORCELLI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
giovedì 21 marzo 2013
Contro le mafie - fiaccolata 21 marzo
Anche San Mauro
scende in piazza per dire «no» alla criminalità organizzata. Una fiaccolata
contro le mafie si terrà giovedì 21 marzo con partenza alle 20.30 davanti alla
scuola Carlo Alberto Dalla Chiesa in via Speranza. L’iniziativa è promossa da Libera
in collaborazione con molte associazioni locali e con le parrocchie. Sarà
preceduta da vari incontri e manifestazioni nel mese di marzo, fra cui un
dibattito pubblico del Tavolo della Solidarietà sul tema «Rel-azioni violente –
Violenza intrafamiliare e femminicidio» venerdì 1 marzo alle 21 nella
parrocchia San Benedetto.
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
martedì 19 febbraio 2013
Parte da Pescarito la sfida delle bici elettriche
Oltre 700 bici elettriche prodotte e vendute nel 2012, primo anno di attività dell’innovativa azienda sanmaurese «Move your life». In tempi di crisi industriale si segnala l’esempio in controtendenza di questa nuova fabbrica di zona Pescarito, specializzata nella produzione di biciclette a «pedalazione assistita», cioè dotate di batteria elettrica e motore ecologico che moltiplica la forza del pedale.
I veicoli elettrici (auto, moto, bici) sono una delle soluzioni che probabilmente si affermeranno di più nei prossimi anni di fronte al problema energetico e all’inquinamento. Non pagano bollo né assicurazione, si caricano alla presa elettrica con pochi centesimi di euro. L’«Ultra mobile bike» (Umb) prodotto a San Mauro nell’azienda fondata e diretta da Marco Curti è un esempio che il pubblico mostra di gradire: nel 2013 si passerà da 700 e 1.500 esemplari, con la prospettiva di arrivare in pochi anni ad una produzione di 4 mila biciclette, pari ad un fatturato di 6 milioni di euro.
Il prezzo delle bici oscilla fra i 2.000 e i 3.500 euro, secondo l’allestimento e la potenza del motore, dalla quale dipende anche il numero di chilometri percorribili con una carica di batteria (da 70 a 200 km, velocità massima 25 km all’ora). Come spiega l’ad Curti «nel 2012 l’intera produzione di bici elettriche è stata venduta in Italia (80%) e Francia (20%). Nel 2013 ci allargheremo al mercato dei Paesi Bassi». Otto i dipendenti dell’azienda, che assemblea i veicoli e produce in proprio alcuni componenti. «Prima del lancio delle bici elettriche – conclude Curti - operavamo nel settore delle componenti automobilistiche, producevamo all’estero. Ma venne la crisi dell’auto e abbiamo dovuto reinventarci: oggi siamo una azienda che produce tutto in Italia, con componenti italiane, e vende all’estero».
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
I veicoli elettrici (auto, moto, bici) sono una delle soluzioni che probabilmente si affermeranno di più nei prossimi anni di fronte al problema energetico e all’inquinamento. Non pagano bollo né assicurazione, si caricano alla presa elettrica con pochi centesimi di euro. L’«Ultra mobile bike» (Umb) prodotto a San Mauro nell’azienda fondata e diretta da Marco Curti è un esempio che il pubblico mostra di gradire: nel 2013 si passerà da 700 e 1.500 esemplari, con la prospettiva di arrivare in pochi anni ad una produzione di 4 mila biciclette, pari ad un fatturato di 6 milioni di euro.
Il prezzo delle bici oscilla fra i 2.000 e i 3.500 euro, secondo l’allestimento e la potenza del motore, dalla quale dipende anche il numero di chilometri percorribili con una carica di batteria (da 70 a 200 km, velocità massima 25 km all’ora). Come spiega l’ad Curti «nel 2012 l’intera produzione di bici elettriche è stata venduta in Italia (80%) e Francia (20%). Nel 2013 ci allargheremo al mercato dei Paesi Bassi». Otto i dipendenti dell’azienda, che assemblea i veicoli e produce in proprio alcuni componenti. «Prima del lancio delle bici elettriche – conclude Curti - operavamo nel settore delle componenti automobilistiche, producevamo all’estero. Ma venne la crisi dell’auto e abbiamo dovuto reinventarci: oggi siamo una azienda che produce tutto in Italia, con componenti italiane, e vende all’estero».
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
domenica 17 febbraio 2013
L'addio a Maschera, amico e poeta
Ci regalato le parole per interpretare
la realtà, le situazioni della
vita. Il poeta sanmaurese Pier
Carlo Maschera lunedì 7 gennaio,
a 69 anni, dopo una malattia
contro la quale, aiutato dalla
moglie Ede, si era impegnato a
combattere.
La malattia gli aveva debilitato il corpo, ma non lo spirito, così la mente continuava a partorire idee, come quella legata al concetto di «maschera», il suo cognome, che in un momento di pausa forzata era divenuto fonte d’ispirazione. Ora questo percorso non potrà più proseguire, ma tante altre iniziative di Pier Carlo ed i suoi scritti continueranno a vivere.
Gli si deve dar merito d’avere fondato, nel 1973 a Torino, la sezione comunale e provinciale dell’Aido (Associazione donatori organi), di cui fu anche presidente onorario. Di essere stato socio benemerito della Pro Loco di San Mauro, con la quale collaborò tra l’altro alla realizzazione del libro «Una fiaba per un sogno». Sempre ha San Mauro è stato presidente del «Circolo Culturale degli artisti», nel 1999 ricevette l’onorificenza «Amis ‘dla Fròla», e la qualifica di «Seniores ad honorem ». Fu anche presidente della Pro Loco di Baldissero, comune che gli conferì la qualifica di cittadino onorario. Nel 2009, Maschera fu premiato con l’ambitissima «Fragolina d’oro».
Ha pubblicato due libri di poesie in lingua italiana ed uno in lingua piemontese. La sua ultima opera è un libro intitolato «Fila fila filastrocca», presentato nell’aula consiliare di San Mauro nel 2011. Condusse trasmissioni radiofoniche per l’emittente «Rete Universal», ed insieme a Paola Cresta Barbera (direttore artistico del «Pulcino d’oro») le trasmissioni «L’amore è» su Radio Azzurra e «Nuova onda» su Radio Italiana. Con Paola compartecipò anche alla terza edizione del «Pulcino d’oro».
L’ultima sua apparizione in pubblico è avvenuta l’8 settembre 2012 in occasione dei cento anni del ponte «Vecchio». Mentre leggeva le sue poesie in lingua piemontese era circondato da un folla immensa, come se il destino avesse voluto ricompensarlo del suo impegno verso San Mauro, ed i cittadini lo abbracciassero per l’ultima volta.
Alla sua sepoltura c’erano molti gonfaloni fra cui quelli dei «Donatori del sangue» e la Pro loco di Baldissero, insieme a tanti amici di Torino, San Mauro e Baldissero. Don Benito Luparia, visibilmente commosso, ha salutato l’amico, pregato e benedetto la salma. Pier Carlo Maschera è stato per lungo tempo presentatore ufficiale del Coro Pulcherada - Eco della Dora. «Hai dato voce alle sensazioni più profonde ed intime dell’animo – gli hanno scritto gli amici coristi - quelle che non tutti sappiamo liberare per paura, per timidezza o perché ci mancano le parole giuste. Tu invece sapevi usare le parole giuste».
Durante la Messa di trigesima, celebrata il 2 febbraio a Torino da don Luparia nella chiesa Ss. Nome di Gesù, è stata letta ancora una sua poesia. «Solo ora mi rendo conto del patrimonio di parole che possiedo, ora che con l’apertura del cassetto le ho fatte rotolare nel tappeto ed il gatto di casa ci sta giocando. Le sceglierò ad una ad una, a voi amici regalerò tutte le altre». Grazie Pier Carlo per tutte quelle atmosfere che con le parole ci hai regalato.
Luisa Pilone
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
La malattia gli aveva debilitato il corpo, ma non lo spirito, così la mente continuava a partorire idee, come quella legata al concetto di «maschera», il suo cognome, che in un momento di pausa forzata era divenuto fonte d’ispirazione. Ora questo percorso non potrà più proseguire, ma tante altre iniziative di Pier Carlo ed i suoi scritti continueranno a vivere.
Gli si deve dar merito d’avere fondato, nel 1973 a Torino, la sezione comunale e provinciale dell’Aido (Associazione donatori organi), di cui fu anche presidente onorario. Di essere stato socio benemerito della Pro Loco di San Mauro, con la quale collaborò tra l’altro alla realizzazione del libro «Una fiaba per un sogno». Sempre ha San Mauro è stato presidente del «Circolo Culturale degli artisti», nel 1999 ricevette l’onorificenza «Amis ‘dla Fròla», e la qualifica di «Seniores ad honorem ». Fu anche presidente della Pro Loco di Baldissero, comune che gli conferì la qualifica di cittadino onorario. Nel 2009, Maschera fu premiato con l’ambitissima «Fragolina d’oro».
Ha pubblicato due libri di poesie in lingua italiana ed uno in lingua piemontese. La sua ultima opera è un libro intitolato «Fila fila filastrocca», presentato nell’aula consiliare di San Mauro nel 2011. Condusse trasmissioni radiofoniche per l’emittente «Rete Universal», ed insieme a Paola Cresta Barbera (direttore artistico del «Pulcino d’oro») le trasmissioni «L’amore è» su Radio Azzurra e «Nuova onda» su Radio Italiana. Con Paola compartecipò anche alla terza edizione del «Pulcino d’oro».
L’ultima sua apparizione in pubblico è avvenuta l’8 settembre 2012 in occasione dei cento anni del ponte «Vecchio». Mentre leggeva le sue poesie in lingua piemontese era circondato da un folla immensa, come se il destino avesse voluto ricompensarlo del suo impegno verso San Mauro, ed i cittadini lo abbracciassero per l’ultima volta.
Alla sua sepoltura c’erano molti gonfaloni fra cui quelli dei «Donatori del sangue» e la Pro loco di Baldissero, insieme a tanti amici di Torino, San Mauro e Baldissero. Don Benito Luparia, visibilmente commosso, ha salutato l’amico, pregato e benedetto la salma. Pier Carlo Maschera è stato per lungo tempo presentatore ufficiale del Coro Pulcherada - Eco della Dora. «Hai dato voce alle sensazioni più profonde ed intime dell’animo – gli hanno scritto gli amici coristi - quelle che non tutti sappiamo liberare per paura, per timidezza o perché ci mancano le parole giuste. Tu invece sapevi usare le parole giuste».
Durante la Messa di trigesima, celebrata il 2 febbraio a Torino da don Luparia nella chiesa Ss. Nome di Gesù, è stata letta ancora una sua poesia. «Solo ora mi rendo conto del patrimonio di parole che possiedo, ora che con l’apertura del cassetto le ho fatte rotolare nel tappeto ed il gatto di casa ci sta giocando. Le sceglierò ad una ad una, a voi amici regalerò tutte le altre». Grazie Pier Carlo per tutte quelle atmosfere che con le parole ci hai regalato.
Luisa Pilone
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
Il Gruppo missionario di San Mauro nel mese di gennaio
ha ha promosso un incontro con i cristiani di fede
evangelica e una visita alla Sinagoga di Torino. Il diacono
Roberto Porrati ha dato particolare impulso alla duplice
iniziativa e ne valeva la pena, visto l’ampia partecipazione.
La visita alla Sinagoga (30 gennaio) ha visto la partecipazione
di un centinaio di sanmauresi, trasferiti a Torino
con due autobus. Si è tenuta tre giorni dopo «Il giorno
della memoria», istituito nel 2005 perché gli orrori dei
crimini commessi contro l’umanità non cadano in prescrizione
e le nuove generazioni possano venirne a conoscenza.
Sinagoga significa «Casa di riunione» e nasce come luogo di preghiera collettiva senza però essere un luogo consacrato. È anche un punto d’aggregazione per riunioni amministrative e di studio. Fra le più note in Europa si ricordano quelle di Praga e di Venezia. Ad presentare la sinagoga di Torino sono intervenuti stati Rabbino ed un giovane della comunità ebraica. Hanno messo i visitatori a conoscenza di tanti aspetti della loro vita di comunità, dalle regole alimentari al capodanno, che avviene in settembre, al numero dei precetti che sono 613…. Fa parte dei precetti anche il non poter pregare in promiscuità, per tale motivo la Sinagoga è circondata da una balconata, il «Matroneo»: vi si collocano le donne.
Nella Sinagoga sotterranea, più raccolta, dove si celebrano le funzioni settimanali, le donne sono separate dagli uomini solo da una transenna. Altro elemento di notevole importanza è la copertura del capo degli uomini, in segno di rispetto a Dio. La Sinagoga di Torino fu bombardata nel 1943: andò distrutto il soffitto a cassettoni in legno, poi ricostruito in cemento; andarono persi anche i mosaici geometrici, in stile moresco. L’edificio risale alla II° metà dell’800, costruito dopo che il re Carlo Alberto (1848) liberalizzò il culto valdese e aprì il ghetto ebraico che risiedeva nei pressi di piazza Carlina. Quando Carlo Alberto morì, la comunità ebraica, in segno di lutto, fece dipingere l’armadio (luogo dove vengono posti i rotoli della legge) in nero, e quell’armadio, tutt’ora conserva il colore nero ed è collocato nella parte sotterranea. Fino a Carlo Alberto le Sinagoghe dovevano rimanere mimetizzate. Dopo il 1848 la comunità ebraica acquistò terreni per costruire un tempio maestoso nel centro della città, l’attuale Mole Antonelliana, mai utilizzata davvero come Sinagoga. Resta l’attuale tempio nel quartiere San Salvario.
La serata del 30 gennaio ha permesso di conoscere la cultura di un popolo che, dalla diaspora in poi (70 a.C.), si radicò in tanti luoghi del mondo fra cui Torino. Una cultura e una storia che ci è piuttosto estranea. Il confronto civile con altre culture religiose e sociali diminuisce sempre gli elementi di diffidenza, fa compiere passi avanti in civiltà e forse aiuta a comprendere meglio la propria cultura e il proprio credo religioso. «La cosa più importante è rimanere in ascolto dell’altro» ha detto Papa Benedetto XVI al termine di un corso di esercizi spirituali. È quello che umilmente circa cento persone di San Mauro hanno voluto fare.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
Sinagoga significa «Casa di riunione» e nasce come luogo di preghiera collettiva senza però essere un luogo consacrato. È anche un punto d’aggregazione per riunioni amministrative e di studio. Fra le più note in Europa si ricordano quelle di Praga e di Venezia. Ad presentare la sinagoga di Torino sono intervenuti stati Rabbino ed un giovane della comunità ebraica. Hanno messo i visitatori a conoscenza di tanti aspetti della loro vita di comunità, dalle regole alimentari al capodanno, che avviene in settembre, al numero dei precetti che sono 613…. Fa parte dei precetti anche il non poter pregare in promiscuità, per tale motivo la Sinagoga è circondata da una balconata, il «Matroneo»: vi si collocano le donne.
Nella Sinagoga sotterranea, più raccolta, dove si celebrano le funzioni settimanali, le donne sono separate dagli uomini solo da una transenna. Altro elemento di notevole importanza è la copertura del capo degli uomini, in segno di rispetto a Dio. La Sinagoga di Torino fu bombardata nel 1943: andò distrutto il soffitto a cassettoni in legno, poi ricostruito in cemento; andarono persi anche i mosaici geometrici, in stile moresco. L’edificio risale alla II° metà dell’800, costruito dopo che il re Carlo Alberto (1848) liberalizzò il culto valdese e aprì il ghetto ebraico che risiedeva nei pressi di piazza Carlina. Quando Carlo Alberto morì, la comunità ebraica, in segno di lutto, fece dipingere l’armadio (luogo dove vengono posti i rotoli della legge) in nero, e quell’armadio, tutt’ora conserva il colore nero ed è collocato nella parte sotterranea. Fino a Carlo Alberto le Sinagoghe dovevano rimanere mimetizzate. Dopo il 1848 la comunità ebraica acquistò terreni per costruire un tempio maestoso nel centro della città, l’attuale Mole Antonelliana, mai utilizzata davvero come Sinagoga. Resta l’attuale tempio nel quartiere San Salvario.
La serata del 30 gennaio ha permesso di conoscere la cultura di un popolo che, dalla diaspora in poi (70 a.C.), si radicò in tanti luoghi del mondo fra cui Torino. Una cultura e una storia che ci è piuttosto estranea. Il confronto civile con altre culture religiose e sociali diminuisce sempre gli elementi di diffidenza, fa compiere passi avanti in civiltà e forse aiuta a comprendere meglio la propria cultura e il proprio credo religioso. «La cosa più importante è rimanere in ascolto dell’altro» ha detto Papa Benedetto XVI al termine di un corso di esercizi spirituali. È quello che umilmente circa cento persone di San Mauro hanno voluto fare.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
La Fede dei fratelli
La nostra Unità Pastorale,
che raccoglie le parrocchie
di San Mauro, ha iniziato
in modo originale l’Anno
dedicato alla Fede da Papa
Benedetto. Nel mese di
gennaio i cattolici sanmauresi
si sono incontrati con
gli ebrei in sinagoga e con
gli evangelici nella parrocchia
del Sacro Cuore. Due
avvenimenti interessanti
e importanti che ci hanno
messo nella condizione di
valutare la nostra fede a
partire dalla fede degli altri.
Uno sforzo di comprensione
che ci ha interrogati fin
nel profondo. E anche un
atto di amore di cui si sentiva
bisogno.
La visita alla sinagoga di Torino ha comportato uno sforzo per capire la fede dei nostri fratelli ebrei sia attraverso un cammino di preparazione che è stato fatto con il Gruppo missionario di Up, sia attraverso le spiegazioni che ci sono state offerte in modo particolare dal rabbino Somekh che ci ha accolti e accompagnati. I risultati di questo percorso di comprensione sono stati sorprendenti e stimolanti. Ha colpito inizialmente il particolare rapporto che l’ebreo, come popolo e come persona, ha con Dio. Abbiamo imparato che importante per l’ebreo non è conoscere la natura di Dio, questione che ha invece molto impegnato la riflessione cristiana, sia occidentale che orientale, nel corso dei secoli. Ciò che conta è cercare di sapere che cosa Dio vuole che noi facciamo. Es. 24,7 «Tutto ciò che il Signore ha detto noi lo eseguiremo e lo staremo a sentire». Da qui la concezione ebraica di Dio, che nel corso dei secoli definisce l’halachà, la via da seguire o regola da rispettare. Tutta la vita dell’ebreo è spesa per cercare, applicando l’halachà, di diventare immagine di Dio, che è al contempo assolutamente trascendente e inconoscibile, ma che anche cammina con il suo popolo.
All’ebreo interessa di più questa vita dell’altra. Vuole vivere santamente questa vita, indipendentemente da futuri premi o punizioni. Il fine della vita è osservare le leggi di Dio date con la Toràh. Nella Toràh e in altri testi (soprattutto i profeti) e in alcuni brani liturgici ci sono riferimenti al Regno dei Morti e a un’epoca di resurrezione, ma siccome nulla è detto di preciso si sono sviluppate correnti diverse, nessuna delle quali considerata eretica. La preghiera ebraica poi ha il cuore nell’annullamento della volontà umana dinnanzi al dovere di servire Dio. Non è tanto frutto di sentimenti estemporanei e non si esprime in parole improvvisate che sgorgano dal cuore come fatto emotivo (anche se è ammessa), ma ha una forma fissa e codificata. Prescinde dalla situazione personale e dalle richieste personali e rappresenta un atto di omaggio e sottomissione a Dio e alla sua potenza. È di riconoscimento, o glorificazione, di inno, lode, richiesta, ringraziamento, benedizione a Dio. Ha due ramificazioni: la berachàh (benedizione) e la tefillàh, che è il rituale liturgico che si celebra in sinagoga. Anche la casa, oltre alla sinagoga, è un luogo di preghiera; la casa ebraica è ritenuta un santuario e la mensa quasi un altare. È in casa che il venerdì sera si accoglie il sabato. La donna accende le candele e recita la relativa berachàh. In casa si fa il kiddùsh (la santificazione della festa), dicendo la benedizione sul vino. Ed è sempre in casa che alla sera del sabato si celebra una breve cerimonia sottolineando il passaggio ad un’altra settimana di lavoro. In sostanza vale quel che si diceva all’inizio: all’ebreo non interessa conoscere l’essenza di Dio.
L’ebraismo è la religione dell’azione, perciò è etica in atto. L’uomo capisce Dio operando. Il buon agire, cioè l’etica, diventa l’asse portante e già questo mi sembra una bella ricchezza che ci è stata consegnata dalla visita in sinagoga. L’incontro con gli evangelici è stato altrettanto ricco. Si è svolto nel contesto della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani ed ha visto i due predicatori (il pastore Paolo Ribet per gli evangelici) affrontare i temi suggeriti dal profeta Michea e da Paolo con la Lettera ai Galati. La predicazione incisiva del pastore Paolo Ribet ha colto l’urgenza pressante di giustizia che emerge dal processo che Dio intenta al popolo di Israele al quale chiede di «praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,6-8). L’attualizzazione ha colto l’analogia tra i tempi di Michea, caratterizzati da scossoni politici, turbolenze internazionali, ingiustizie sociali e degrado religioso e i nostri non meno agitati e incerti sia sul piano nazionale e internazionale, che etico/morale. Ha fatto emergere anche in questo caso una forte esigenza etica che discende dal praticare la volontà di Dio, che si ricava dal suo insegnamento. Paolo poi, è il commento di parte cattolica, ci guida verso un itinerario di fede che consiste principalmente in Gesù Cristo, il Giusto per eccellenza; per suo tramite possiamo entrare in un giusto rapporto con Dio e tra di noi, in comunione con il Padre e con il mondo. È la stessa fede di Abramo, che anticipa di 430 anni la Legge, e più ancora quella di Gesù, che abbatte le barriere della legge, di tutte le leggi. Emerge che la «legge» di Gesù va oltre il pedagogo che impone precetti e proibizioni ed è la legge dell’amore che ci rende una cosa sola con Cristo. E questo ci rende liberi e non ha più importanza essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna. È la vocazione ad amare secondo lo spirito e l’esempio di Gesù. È quell’amore che ci fa accogliere il prossimo (che è poi Gesù nelle sue varie manifestazioni: il carcerato, l’assetato, l’affamato, in una parola «l’altro», soprattutto nel bisogno) e nell’accoglienza ci riempie di Gesù e ci trasforma in lui («non sono più io che vivo in Cristo, è Cristo che vive in me», è la meta indicata da Paolo). È il fratello la via per arrivare, con la mediazione di Cristo, al Padre.
L’amore attraverso le Beatitudini trascende la legge/prescrizione e diventa un codice etico/esistenziale fondato sul dono integrale e gratuito di sé. Non hanno pesato le differenze teologiche, che non siamo certo noi chiamati a risolvere e che nella vita concreta fatta di ricerca di rapporti e rispetto non devono pesare più dell’amore reciproco, si è vissuto un intenso momento di unità. In conclusione la visita in sinagoga e la preghiera ecumenica hanno avuto un tema costante e comune: l’etica praticata e vissuta. Senza l’etica praticata l’incoerenza con l’insegnamento del Padre è massima. Nella omelia della Messa delle Ceneri, il Papa ha detto: «Anche ai nostri giorni molti sono pronti a ‘stracciarsi le vesti’ di fronte a scandali e ingiustizie, naturalmente commessi da altri, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta». L’etica ricercata, praticata e vissuta potrebbe essere per tutti noi un buon cammino quaresimale (e non solo).
Diacono Roberto PORRATI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
La visita alla sinagoga di Torino ha comportato uno sforzo per capire la fede dei nostri fratelli ebrei sia attraverso un cammino di preparazione che è stato fatto con il Gruppo missionario di Up, sia attraverso le spiegazioni che ci sono state offerte in modo particolare dal rabbino Somekh che ci ha accolti e accompagnati. I risultati di questo percorso di comprensione sono stati sorprendenti e stimolanti. Ha colpito inizialmente il particolare rapporto che l’ebreo, come popolo e come persona, ha con Dio. Abbiamo imparato che importante per l’ebreo non è conoscere la natura di Dio, questione che ha invece molto impegnato la riflessione cristiana, sia occidentale che orientale, nel corso dei secoli. Ciò che conta è cercare di sapere che cosa Dio vuole che noi facciamo. Es. 24,7 «Tutto ciò che il Signore ha detto noi lo eseguiremo e lo staremo a sentire». Da qui la concezione ebraica di Dio, che nel corso dei secoli definisce l’halachà, la via da seguire o regola da rispettare. Tutta la vita dell’ebreo è spesa per cercare, applicando l’halachà, di diventare immagine di Dio, che è al contempo assolutamente trascendente e inconoscibile, ma che anche cammina con il suo popolo.
All’ebreo interessa di più questa vita dell’altra. Vuole vivere santamente questa vita, indipendentemente da futuri premi o punizioni. Il fine della vita è osservare le leggi di Dio date con la Toràh. Nella Toràh e in altri testi (soprattutto i profeti) e in alcuni brani liturgici ci sono riferimenti al Regno dei Morti e a un’epoca di resurrezione, ma siccome nulla è detto di preciso si sono sviluppate correnti diverse, nessuna delle quali considerata eretica. La preghiera ebraica poi ha il cuore nell’annullamento della volontà umana dinnanzi al dovere di servire Dio. Non è tanto frutto di sentimenti estemporanei e non si esprime in parole improvvisate che sgorgano dal cuore come fatto emotivo (anche se è ammessa), ma ha una forma fissa e codificata. Prescinde dalla situazione personale e dalle richieste personali e rappresenta un atto di omaggio e sottomissione a Dio e alla sua potenza. È di riconoscimento, o glorificazione, di inno, lode, richiesta, ringraziamento, benedizione a Dio. Ha due ramificazioni: la berachàh (benedizione) e la tefillàh, che è il rituale liturgico che si celebra in sinagoga. Anche la casa, oltre alla sinagoga, è un luogo di preghiera; la casa ebraica è ritenuta un santuario e la mensa quasi un altare. È in casa che il venerdì sera si accoglie il sabato. La donna accende le candele e recita la relativa berachàh. In casa si fa il kiddùsh (la santificazione della festa), dicendo la benedizione sul vino. Ed è sempre in casa che alla sera del sabato si celebra una breve cerimonia sottolineando il passaggio ad un’altra settimana di lavoro. In sostanza vale quel che si diceva all’inizio: all’ebreo non interessa conoscere l’essenza di Dio.
L’ebraismo è la religione dell’azione, perciò è etica in atto. L’uomo capisce Dio operando. Il buon agire, cioè l’etica, diventa l’asse portante e già questo mi sembra una bella ricchezza che ci è stata consegnata dalla visita in sinagoga. L’incontro con gli evangelici è stato altrettanto ricco. Si è svolto nel contesto della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani ed ha visto i due predicatori (il pastore Paolo Ribet per gli evangelici) affrontare i temi suggeriti dal profeta Michea e da Paolo con la Lettera ai Galati. La predicazione incisiva del pastore Paolo Ribet ha colto l’urgenza pressante di giustizia che emerge dal processo che Dio intenta al popolo di Israele al quale chiede di «praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,6-8). L’attualizzazione ha colto l’analogia tra i tempi di Michea, caratterizzati da scossoni politici, turbolenze internazionali, ingiustizie sociali e degrado religioso e i nostri non meno agitati e incerti sia sul piano nazionale e internazionale, che etico/morale. Ha fatto emergere anche in questo caso una forte esigenza etica che discende dal praticare la volontà di Dio, che si ricava dal suo insegnamento. Paolo poi, è il commento di parte cattolica, ci guida verso un itinerario di fede che consiste principalmente in Gesù Cristo, il Giusto per eccellenza; per suo tramite possiamo entrare in un giusto rapporto con Dio e tra di noi, in comunione con il Padre e con il mondo. È la stessa fede di Abramo, che anticipa di 430 anni la Legge, e più ancora quella di Gesù, che abbatte le barriere della legge, di tutte le leggi. Emerge che la «legge» di Gesù va oltre il pedagogo che impone precetti e proibizioni ed è la legge dell’amore che ci rende una cosa sola con Cristo. E questo ci rende liberi e non ha più importanza essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna. È la vocazione ad amare secondo lo spirito e l’esempio di Gesù. È quell’amore che ci fa accogliere il prossimo (che è poi Gesù nelle sue varie manifestazioni: il carcerato, l’assetato, l’affamato, in una parola «l’altro», soprattutto nel bisogno) e nell’accoglienza ci riempie di Gesù e ci trasforma in lui («non sono più io che vivo in Cristo, è Cristo che vive in me», è la meta indicata da Paolo). È il fratello la via per arrivare, con la mediazione di Cristo, al Padre.
L’amore attraverso le Beatitudini trascende la legge/prescrizione e diventa un codice etico/esistenziale fondato sul dono integrale e gratuito di sé. Non hanno pesato le differenze teologiche, che non siamo certo noi chiamati a risolvere e che nella vita concreta fatta di ricerca di rapporti e rispetto non devono pesare più dell’amore reciproco, si è vissuto un intenso momento di unità. In conclusione la visita in sinagoga e la preghiera ecumenica hanno avuto un tema costante e comune: l’etica praticata e vissuta. Senza l’etica praticata l’incoerenza con l’insegnamento del Padre è massima. Nella omelia della Messa delle Ceneri, il Papa ha detto: «Anche ai nostri giorni molti sono pronti a ‘stracciarsi le vesti’ di fronte a scandali e ingiustizie, naturalmente commessi da altri, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta». L’etica ricercata, praticata e vissuta potrebbe essere per tutti noi un buon cammino quaresimale (e non solo).
Diacono Roberto PORRATI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 17/02/2013
Per il nostro futuro
In queste settimane sarà capitato
un po’ a tutti di domandarsi
del proprio futuro in
relazione alla situazione del
nostro Paese e della nostra
Chiesa. In molti hanno fatto
appello a questo tema per presentarci
le loro proposte o per
riflettere su quella che è la missione
della Chiesa.
Non possiamo rimanere sordi
o muti agli appelli del futuro
perché questi ci toccano direttamente,
così come riguardano
i nostri giovani e ragazzi.
Così il nostro futuro si riempie
di speranze, attese, sogni
ma anche dubbi, paure e forse
angosce. Il rischio è che questo
futuro inghiottisca tutta
le nostre energie, ma senza
darci una speranza o un senso
per quello che stiamo facendo.
Penso quindi che la strada migliore
sia ancora una volta imparare
dalla nostra fede che ci
dice di una attesa del Signore
che verrà nella gloria.
Il Cristo è già venuto nell’umiltà e nel nascondimento. Ora la nostra preghiera deve farsi carico di un cammino di tutta l’umanità verso il compimento della storia, che in ultima analisi è buono. Il compimento è garantito da Dio, pertanto gli eventi favorevoli o sfavorevoli non possono renderci ottimisti o pessimisti perché nostro punto di riferimento sono le promesse eterne di Dio. Le promesse parlano di: liberazione degli afflitti, diritto anche per gli oppressi, vita per ognuno, perdono, riconciliazione, pace, giustizia, amore reciproco. Queste promesse di Dio esigono da noi una critica della nostra attuale condizione e quindi una conversione che ci permetta di far crescere la nostra umanità per il bene della Chiesa e del mondo intero. I nostri sforzi, in questo senso, anche se non risolvono tutto, ci permettono di sentire come nostra quella città che Gesù ha inaugurato per noi ma che attende di essere completata.
Il tempo di Quaresima ci ricorda concretamente tutto questo e quindi possiamo iniziare da subito a percorrere questa strada. In questi giorni di preparazione alla Pasqua si è parlato e si parlerà di preghiera e appuntamenti personali e comunitari, si progetta una seria collaborazione e comunione con popolazioni in difficoltà, ci saranno momenti specifici per ricevere la misericordia di Dio, vivremo in forma liturgica i misteri della nostra salvezza attraverso i sacramenti. Tutto ciò fa parte del nostro futuro perché si innesta in colui che ha detto «Io sono colui che sono» (Es 3,13). Su questo nome il popolo ebraico ha compiuto un cammino di liberazione attraverso il deserto durato quarant’anni, su questo nome i discepoli hanno creduto alla risurrezione di Cristo portando la buona novella in tutto il mondo, su questo nome noi dobbiamo affrontare il futuro insieme e con fiducia.
don Ilario CORAZZA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 17/02/2013
Il Cristo è già venuto nell’umiltà e nel nascondimento. Ora la nostra preghiera deve farsi carico di un cammino di tutta l’umanità verso il compimento della storia, che in ultima analisi è buono. Il compimento è garantito da Dio, pertanto gli eventi favorevoli o sfavorevoli non possono renderci ottimisti o pessimisti perché nostro punto di riferimento sono le promesse eterne di Dio. Le promesse parlano di: liberazione degli afflitti, diritto anche per gli oppressi, vita per ognuno, perdono, riconciliazione, pace, giustizia, amore reciproco. Queste promesse di Dio esigono da noi una critica della nostra attuale condizione e quindi una conversione che ci permetta di far crescere la nostra umanità per il bene della Chiesa e del mondo intero. I nostri sforzi, in questo senso, anche se non risolvono tutto, ci permettono di sentire come nostra quella città che Gesù ha inaugurato per noi ma che attende di essere completata.
Il tempo di Quaresima ci ricorda concretamente tutto questo e quindi possiamo iniziare da subito a percorrere questa strada. In questi giorni di preparazione alla Pasqua si è parlato e si parlerà di preghiera e appuntamenti personali e comunitari, si progetta una seria collaborazione e comunione con popolazioni in difficoltà, ci saranno momenti specifici per ricevere la misericordia di Dio, vivremo in forma liturgica i misteri della nostra salvezza attraverso i sacramenti. Tutto ciò fa parte del nostro futuro perché si innesta in colui che ha detto «Io sono colui che sono» (Es 3,13). Su questo nome il popolo ebraico ha compiuto un cammino di liberazione attraverso il deserto durato quarant’anni, su questo nome i discepoli hanno creduto alla risurrezione di Cristo portando la buona novella in tutto il mondo, su questo nome noi dobbiamo affrontare il futuro insieme e con fiducia.
don Ilario CORAZZA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 17/02/2013
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