Presso il salone della parrocchia
del Sacro Cuore si è tenuto
il 4 aprile un incontro
tra l’Unità pastorale di San
Mauro e la comunità valdese,
rappresentata dal pastore
Paolo Ribet e da alcuni fedeli
sanmauresi. Questo primo
appuntamento promosso dal
Gruppo Missionario dell’Unità
(altri seguiranno in autunno)
ha permesso di ascoltare
da fonte valdese – Ribet – la
narrazione dei fatti che nel
XVI secolo divisero i seguaci
di Pietro Valdo dalla Chiesa
Cattolica. Una lunga cavalcata
nella storia, iniziata nel Medio
Evo, quando nasce il movimento
pauperista di Valdo.
All’origine si trattava di un
movimento interno alla Chiesa
cattolica: puntava al ritorno
alla radicalità del Vangelo,
in modo non molto diverso
dal movimento francescano
e da altre esperienze di quell’epoca.
Era un movimento
molto esigente. Pietro Valdo,
benestante, sebbene sposato,
aveva scelto di tornare a una
vita celibataria lasciando ogni
bene materiale.
Erano molte, all’epoca di
Valdo, le incomprensioni
con la Chiesa, impegnata
a fronteggiare le eresie del
tempo. Il primo nucleo dei
Valdesi non venne comunque
considerato eretico,
ma tenuto ai margini dalla
Chiesa stessa, che secondo
Ribet non affrontò mai seriamente
la questione: la
Chiesa di Torino non prese
subito sul serio le popolazioni
insediate in Val Pellice, in
val Chisone.
Nel 1526 esse
tengono un Sinodo sulla
Riforma, nel 1531 deliberano
di mandare due rappresentanti
in Svizzera per raccogliere
informazioni sulla
Riforma. In Svizzera sono criticati dai calvinisti per la loro
vicinanza al cattolicesimo. Sempre
nel 1531 tengono un nuovo
Sinodo a Champoran (è un
prato vicino a Torre Pellice) e a
maggioranza, rinunciando alle
loro origini e tradizioni, scelgono
la Riforma. Calvino manda
suoi pastori per avviare la comunità.
I pastori valdesi vengono chiamati
Barba (zio in patois), i seguaci
Barbet. Sono montanari,
si tassano per pagare un intellettuale
che traduca la Bibbia
in francese; sarà la prima traduzione
in franco/provenzale. Nel
1536 i francesi si impadroniscono
di Torino costringendo alla
fuga i Savoia, ai quali restano
soltanto i possedimenti di Vercelli
e Nizza. Il Re di Francia
designa come vice governatore
Farel, cugino del Farel riformatore.
Governatore è il marchese
Giovanni Caracciolo di Melfi,
anch’egli protestante.
In Piemonte la Riforma si diffonde
in tutto lo Stato sabaudo.
La teologia è quella calvinista.
Carignano, Cambiano,
Pancalieri, parte del saluzzese
diventano protestanti. Nelle
valli valdesi le chiese cattoliche
vengono occupate e i valdesi
si fanno catechismi propri. In
Francia però le cose vanno diversamente
e nel delfinato, a seguito
del decreto del parlamento
di Ex en Provence, i valdesi
sono perseguitati e ne vengono
uccisi 800. Nel 1560 Carlo V
concede a Emanuele Filiberto
di Savoia, suo capace generale,
di ricostituire il ducato con lo
scopo di creare uno stato cuscinetto.
Emanuele Filiberto
applica il principio «cuius regio
eius et religio», perciò essendo
cattolico il Duca, il popolo deve
essere cattolico.
I Valdesi non si adeguano. L’esercito
sabaudo al comando di
Filippo di Racconigi occupa
il territorio, distrugge i loro libri
(a cominciare dalle Bibbie),
occupa le chiese. I Valdesi si rifugiano
in montagna. cominciano
la guerra partigiana.
Per
far cessare le ostilità il 5 giugno
1561 si arriva a un concordato
tra le due parti, l’Editto di Cavour:
stabilisce un’area precisa
(la Val Chisone, eccetto Pinerolo,
e la Val Pellice) nella quale i
Valdesi hanno libertà di culto,
di predicazione e insegnamento
con la facoltà di raccogliere anche
le decime.
L’Editto di Cavour evita al Piemonte
le guerre di religione, che
però non sono evitate in Alta
Val di Susa, che in quel momento
fa parte del Delfinato francese.
Nel 1641 il duca dichiara
abrogate le clausole del trattato
di Cavour e manda le truppe a
convertire i Valdesi agli ordini
del marchese di Pianezza. Ricomincia
la guerra partigiana e
il marchese di Pianezza finisce
per ritirare le truppe.
Nel 1685
Luigi XIV, il Re Sole, nipote
del capo degli ugonotti, vieta il
culto protestante in tutto il suo
regno e impone al duca Vittorio
Amedeo II, suo cugino, di inviare
truppe nella Val Pellice a disperdere
gli eretici. In val Chisone,
in quel momento francese,
ci pensa direttamente il Re Sole
con il generale Catinat. Vittorio
Amedeo II interviene ob torto
collo, perché tra le sue truppe il
battaglione più fedele è proprio
quello dei valdesi, una minoranza
fino a quel giorno protetta
dal sovrano. È repressione
pesante, ma fatta per mano
francese. I Valdesi combattono
la guerra partigiana, nella prima
fase dell’occupazione molti
riparano in Svizzera lasciando
case e terreni vuoti; la ripopolazione
viene fatta con gruppi
di cattolici presi da Vercelli e
dalla pianura. I bambini valdesi
lasciati con le madri vengono
portati a Torino per essere cattolicizzati.
Nel frattempo Vittorio Amedeo
rompe l’alleanza con il Re di
Francia e si allea con l’Inghilterra
e con la Svizzera, consente
ai Valdesi di ritornare, ma questi
sono impossibilitati perché
l’Alta Val Susa è francese. Partiti
dalla Svizzera a piedi iniziano
quello che chiamano il Grande
ritorno, «il» momento epico,
guidati da Arnaud. I francesi li
aspettano a Salbertrand, loro
sfuggono e passando dall’Assietta
ritornano nelle loro Valli.
Il Re di Francia, in quel momento,
sta subendo attacchi da
molti fronti (Inghilterra, Olanda,
Impero, Spagna e anche dal
Savoia) e deve lasciare perdere.
Tra le clausole imposte dagli
Svizzeri ai Savoia per stringere
l’alleanza c’è la liberazione
dei pastori e la restituzione dei
bambini.
Fino al 1848 i Valdesi godono di
tutele complete nell’ambito del
trattato di Cavour. Con lo Statuto
del 1848 sono parificati a
tutti gli altri cittadini.
diacono Roberto PORRATI
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento