martedì 21 settembre 2010

L'avis in Festa

Sostegno ai padri camilliani di Port au Prince (Haiti): un gesto di solidarietà per festeggiare i 40 anni della sezione Avis di San Mauro. L’anniversario è stato anche que-sto: 700 euro inviati ad Haiti. «Il sangue è vita, il sangue è come un sorriso: arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona!» re-cita il motto del gruppo sanmau-rese che dal 7 al 9 maggio scorsi ha tenuto varie manifestazioni. Sabato 8 due autoemoteche in piazza Mochino hanno permes-so a molti di compiere donazioni di sangue. La sera, nella chiesa di Pulcherada, sono stati ricordati i donatori defunti. Domenica 9 la giornata clou con la partecipazio-ne, tra gli altri, di Bruno Fattori e Aldo Villa (fondatori del sodali-zio), Marisa Gilla, che entrò a far parte dell’associazione nel 1970 a soli 17 anni.

lunedì 20 settembre 2010


Una quindicina di persone dell’Unità Pastorale di San Mauro Torinese, coordinate da don Ilario Co-razza e da suor Luisa Vettoretto, da un anno operano nel nuovo Centro d’Ascolto presso due sedi: la parrocchia di San Bene-detto (dove collaborano con il Punto d’ascolto telefonico Paf) e la parrocchia di Santa Maria di Pulcherada.

A San Benedetto continua l’attività del Paf, mentre a Santa Maria di Pulcherada tutti i mer-coledì dalle 9.30 alle 11.30 e dal-le 17 alle 19 il Centro d’Ascolto accoglie, ascolta e orienta le per-sone in diffi coltà, individuando i bisogni espressi e latenti, pro-ponendo progetti individuali che accompagninoe ciascuno verso possibili soluzioni.Viviamo una stagione di grande precarietà economica: ne sono colpite molte persone e famiglie, stranieri e non, che incontrano problemi di lavoro e integrazio-ne, inserimento sociale, solitu-dine, indifferenza.

Il Centro di Ascolto cerca di donare innanzi tutto l’accoglienza dell’ascolto, mettendo in atto quello spirito cristiano di fraternità che Gesù è venuto ad insegnarci e che tanto fatichiamo ad attuare.I volontari provano a rispondere alle richieste di aiuto mettendosi «in rete» con gli altri servizi del territorio, pubblici e privati, con altri gruppi di volontariato, in particolare con la San Vin-cenzo, la Caritas dell’Unità Pastorale e della Diocesi di Torino, la quale costantemente offre qualifi cati corsi di formazione e momenti d’aggiornamento. Con l’ausilio di queste associa-zioni e dei parroci don Ilario e don Claudio, il gruppo d’ascolto esiste per donare speranza, fi ducia e, magari, qualche solu-zione.

Luisa PILONE

sabato 18 settembre 2010

Chiara Luce "beata"


Nel corso di una Messa solenne sabato 25 settembre a Roma, presso il Santuario del Divino Amore, si terrà il rito di beatifi cazione di Chiara Luce Badano, presieduto da mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Anche l’Unità pastorale di San Mauro è in festa per questo avvenimento, particolarmente la parrocchia del Sacro Cuore (Sambuy) che qualche anno fa ha intitolato il suo oratorio proprio a Chiara.

Vale la pena di riscoprire le ragioni che indussero il Consiglio Pastorale a questa intito-lazione.La giovane Chiara Luce è mor-ta nel 1990. Sarà beatifi cata vent’anni dopo, un tempo molto breve, perché la Chiesa ha riconosciuto il grado ecce-zionale della sua santità nel-l’esperienza della malattia e dolore, che la portò a vette me-ravigliose. La fede nel dolore: è una ragione importante per ricordare Chiara, ma la nostra scelta di intitolarle l’oratorio di Sambuy aveva anche altre ragioni. Coglievamo qualcosa di fresco e di originale nella sua esperienza. Il suo percorso non sottolineava solo una perfezione personale, una santità individuale.

Coglievamo che dietro c’era un modo diverso di farsi santi, potremmo dire un modo di farsi santi «insieme». Insomma, guardavamo al suo modo di vivere la malattia e il dolore, ma capivamo che il suo modo di affrontarli santamente avevano radici nel «prima» della sua vita. Chiara stava nella sua vita da ragazza, tutta impregnata dell’esperienza di identifi carsi con amore con i suoi amici, con i compagni di scuola, con i ragazzi della parrocchia. Il farsi uno con gli altri per lei voleva dire condividere profonda-mente le esperienze degli altri, ma anche mediarle tutte con la presenza di un Gesù vivo e operante tra di noi. Ha saputo non solo cogliere la presenza reale di Cristo nella vita di ciascuno; ha sentito Cristo agire in lei e contemporaneamente in tutti i suoi amici, compagni di viaggio.

Dei numerosi episodi, bellissimi anche se sovente molto semplici, dell’amore con cui Chiara Luce amava ogni momento si parla molto poco, tanto che viene sovente ad-ditata come un modello per i giovani d’oggi quasi esclu-sivamente nel periodo della sua malattia. Ma così quale modello intenderemmo proporre? Sarebbe come dire che se i giovani vogliono farsi san-ti, devono sperare di morire anch’essi così? A noi interessa quello che sta dietro, interessa la vita quotidiana di Chiara, anche nei momenti precedenti la sua sofferenza. Così ci siamo resi conto che è proprio da quell’unità che aveva scoperto, da quella intensa spiritualità collettiva che cercava di vivere che è nato tutto: anche e soprattutto dalla scoperta di quel Gesù agonizzante in croce che lancia al Padre il suo grido «Dio mio, Dio mio parchè mi hai abbandonato?», che l’ha resa capace di certe vette assolute nella sua malat-tia. Senza l’unità nulla sarebbe stato così.

Ma non c’era solo questo, la sua santità non è spiegabile, e neanche capibile, se non la si vede nel contesto della vita dell’intera sua comunità, la parrocchia, ma anche dell’Opera di Maria, con la quale lei viveva il suo amore reciproco, generando il Santo in tutte le cose, anche le più quotidia-ne. Questo ci ha sempre affascinato e per questo l’abbiamo pensata come un modello assolutamente proponibile a tutti i giovani (e non solo): una santità di popolo in cui tutti, piccoli e grandi, possono raggiungere anche i più alti gradi di perfezione perché im-mersi in Gesù Cristo il Santo, presente fra di noi. Sportiva, giocava a tennis, amante della musica, giovane fra i giovani, e soprattutto piena della gioia di vivere. Un giorno scrisse: «Ho scoperto che Gesù abbandonato è la chiave dell’unità con Dio e voglio sceglierlo come mio sposo e prepararmi per quando viene. Preferirlo!».

È così che Chiara Luce divenne capace di «trasformare la sua ‘passione’ in un canto nuziale», soste-nuta dalla certezza di «esse-re amata immensamente da Dio». Ormai immobile nel let-to, disse «Ora che non ho più niente di sano, ho però anco-ra il cuore e con quello posso sempre amare, facendo solo la volontà di Dio nell’attimo pre-sente: stare al gioco di Dio», capace di dire «Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io». Su su, fi no a programmare in tutti particolari il suo funerale come una grande festa di nozze, compreso l’abito bian-co preparato con tanta cura, e dando come ultimo saluto alla mamma: «Ciao, sii felice perché io lo sono».Chiara Luce ebbe a dire: «I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fi accola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena di spen-derla bene».

Queste ci parevano le ragioni, nel nostro pic-colo, per intitolarle l’oratorio di Sambuy, cogliendo il senso complessivo della sua vita, del-la sua spiritualità, che l’aveva portata a condividere l’esperienza di Chiara Lubich nell’Opera di Maria. Ad accompagnarci in questo viaggio sono stati monsignor Livio Maritano, il «suo» vescovo, che ne ha colto subito i tratti della santità, la vice postulatrice della causa, Maria Grazia Magrini, e il dott. Ferdinando Garetto, suo amico, che per primo venne a spiegare ai nostri giovani questa straordinaria fi gura. Li ringraziamo.

Roberto PORRATI

Sant'Anna e Folgore, Volley di Eccellenza


Nella città delle fragole si gioca a Volley da ormai quarant’anni. Il 1970 fu un annus mirabilis per lo sport sanmaurese. Due sponde del fi ume diverse, due parrocchie «giovani», videro decollare storie simili di volontà di promuovere lo sport per i giovani come strumen-to di crescita, in maniera nuova e diversa. In zona Oltrepo, parroc-chia San Benedetto, mosse i primi passi la «Folgore» sotto la spinta di un gruppo di volontari; in zona Pescatori, nel corso dell’estate, nacque il «Sant’Anna Pescatori» dalla volontà dei ragazzi dell’Oratorio di formare una squadra di pallavolo.Da allora a San Mauro si è giocato tanto, ma tanto volley: le squadre giovanili hanno alimentato il movimento e in alcuni momenti storici sono state punte di eccellenza per tutto il movimento piemontese.

La differenziazione fra le due società – la prima abbandona il ramo maschile, la seconda organizza anche il minivolley – ha permesso un’ampiezza di offerta straordinaria per una città di pic-cole dimensioni come San Mauro. E i risultati non sono mancati.
Nella stagione 2009/2010 entrambe le compagini hanno ottenuto risultati di rilievo, in particolar modo se si considera la giovane età media e la provenienza, per la maggior parte degli atleti, dal settore giovanile e dalla stessa città di San Mauro. La Folgore ha ot-tenuto una meritata promozione in serie C regionale al culmine di una rincorsa iniziata sette anni fa; il Sant’Anna, sorpresa del campionato di B2, ha sfiorato i playoff per l’accesso in B1 ed ha dato spettacolo fra le mura del pala Burgo. Una stagione da incorniciare.

La squadra della Folgore, allenata dalla new entry Fulvio Civera, ha saputo convogliare in un gruppo unito ed entusiasta l’esperienza degli anni precedenti e raggiungere, dopo due tentativi andati a vuoto, i playoff e la promozione nella massima competizione regionale.Il settore giovanile è il fi ore all’occhiello del Sant’Anna, che tra il 2005 e il 2008 ha conquistato il primo posto regionale in ogni categoria juniores. La prima squa-dra non è stata certo a guardare; guidata da Usai, è passata da una quasi retrocessione ad una quasi promozione dando prova di talento e di carattere. Una squadra in crescita, con margini inespressi e una società attenta che in settembre e ottobre concluderà i festeggiamenti per il quarantennale con la presentazione della nuova stagione e un paio di amichevoli con squadre di prima fascia.
Matteo DE DONA

venerdì 17 settembre 2010

Grazie, Don Nicolino!

È morto il 19 maggio don Nicolino Rocchietti, 89 anni, già parroco di Santa Maria di Pulcherada e primo parroco del Sacro Cuore di Gesù – Sambuy. Pubblichiamo un ampio ricordo a cura del diacono Roberto Porrati.

A distanza di quattro mesi dalla morte di don Nicolino, possiamo rifl ettere con calma sull’eredità lasciata da questo sacerdote alle comunità di San Mauro, cui ha dedicato gran parte della sua vita. Alcune caratteristiche lo contrad-distinguevano; una era la cordialità. Non aveva mai fretta quando incontrava qualcuno, c’era sempre tempo per tutti. Sapeva ascoltare, poi magari consolava con un sorriso, oppure scuoteva con una battuta, in ogni caso chi passava dall’uffi cio parrocchiale qualcosa di signifi cativo lo riceve-va sempre.Era il punto di raccordo tra le generazioni che, una dopo l’altra, passavano per l’oratorio. Aveva poi una particolare attenzione per gli ammalati.

Capitava spesso di trovare appeso fuori dall’ufficio un cartello «Sono per ammalati». Non li lasciava mai soli: pregava con loro, portava la comunione, raccoglieva la disperazione per trasformarla in speranza. Quella dei biglietti era poi una sua caratteristica particolare; ne aveva uno per ogni occasione, redatto con la sua bella grafi a: «Sono per amma-lati», «Sono in oratorio», «Sono in chiesa», «Sono in Curia» e ciò che contava non era tanto far sa-pere dove andava, ma il fatto che con quei biglietti volesse stabilire un rapporto continuo con i par-rocchiani, «Sono assente, ma ci sono e cerco di fare qualcosa di utile». Era in fondo un segno di rispetto verso di loro. Parlando con i più vecchi della comunità non era raro ritornare alle esperienze fondative; per esempio su come si era fat-to l’oratorio.

A volte mi diceva «Sono un prete robivecchi» (lui però lo diceva in dialetto, fera-miù). Raccoglieva il ferro e ogni cosa fosse vendibile per ricavare soldi per l’oratorio, che si è co-struito così, un pezzo di ferro dopo l’altro, e in tal modo stimo-lava anche qualche bel contribu-to dai parrocchiani. Se una cosa andava fatta, biso-gnava farla subito. Fait fait (fatto, fatto in dialetto) era diventato il suo soprannome. Mi diceva che le cose non ultimate era come se non fossero state fatte per niente, delle inutili incompiute. Una cosa non finita in ogni senso: un impianto elettrico non collegato non serviva, ma non serviva neanche una fede tiepida, che non sapeva decidersi a fare il passo defi nitivo.

Il fare era per lui quasi sinonimo di essere. Deciditi a «essere», che abbiamo tanto bisogno di «fare». Questa sua caratteristica fu fon-damentale per la rinascita e la funzionalità della Casa di Ripo-so San Giuseppe, eravamo negli anni 1975/76 . Per suo insistente interesse, unitamente al dottor Scippa, come ci ricorda Stefano Armellino, fu possibile coinvolgere nella complessa e onerosa attività di trasformazione della strut-tura personaggi, organizzazioni e popolazione nel disinteresse della Pubblica amministrazione. Da organista non si limitò a suonare, sentì il bisogno anche qui di fare e, insieme a mons. Pistoni, pubblicò un piccolo volume di canti per animare la liturgia, il «Cantemus Domino».

Quando negli anni ottanta si ebbe la grande trasformazione di San Mauro con l’arrivo di migliaia di persone, si spese molto per l’integrazione di tante per-sone così diverse. Cominciò con l’andare a dire Messa nei cortili dei nuovi condominii, lo fece con insistenza e determinazione, anche quando non era ben accolto, convinto che la Parola si dovesse portare comunque, anche quando era difficile. Con lui la parroc-chia del Sacro Cuore diventò un punto di riferimento per gli abi-tanti della case popolari, soprat-tutto per i giovani ai quali aprì l’oratorio. E non fu per niente facile. Fu tollerante e accogliente anche verso persone per le quali la tolleranza e l’accoglienza non erano precisamente valori. La comunità era per lui un valore assoluto e per questo era attento anche a conservarne la memoria.

In occasione del Giubileo del 2000 si organizzò al Sacro Cuore un triduo, partecipato da centinaia di persone nelle tre serate, per rifl ettere sull’occasione e, fatto forse unico, fece pubblicare gli atti del Triduo, proprio per conservarne la memoria. Ci ha consegnato un modello di chie-sa non basato sull’autorità, ma sulla Parola meditata, pregata, vissuta, testimoniata e sul servi-zio. Poteva lasciarci un modello più convincente da seguire? Poi certo, aveva anche i suoi difetti, ma, francamente, quelli sono un patrimonio condiviso da tutti, mentre le qualità signifi cative sono patrimonio di pochi e lui era tra questi. Per questa ragione il Consiglio pastorale, su propo-sta del parroco don Ilario, ha deciso di dedicargli la Casa di Ulzio, la vecchia baita Sanbuy, che con così tanta determinazione aveva voluto. Un modo per non scordarlo.

diacono Roberto PORRATI
Questa bella immagine ritrae don Luigi Caramellino all'ingresso del Duomo in occasione della visita del Papa, il 2 maggio 2010.

giovedì 16 settembre 2010

Il nostro Grazie!

Settembre è il mese in cui tut-to ricomincia! È il mese in cui incontrandosi per le strade ci si racconta l’estate appena fi -nita e si condividono i progetti futuri, le paure e le speranze per le attività che stiamo per iniziare ad affrontare, man mano che gli impegni ordinari riprendono.

Settembre anche per la nostra Unità pastorale di San Mauro è il mese in cui iniziano a prendere forma le attività programmate, avendo ancora il re-trogusto della gioia dell’estate ragazzi vissuta nei nostri oratori e dei campi scuola fatti a Oulx e a Pialpetta, in cui abbia-mo coinvolto più di 250 ragazzi dalle elementari alle superio-ri, del campo lavoro nelle zone terremotate de L’Aquila con i giovani, del pellegrinaggio al santuario di Oropa, della cele-brazione del Corpus Domini, in cui abbiamo celebrato l’Eu-caristia e festeggiato con unpranzo comunitario.

Settembre per noi di San Mauro è il mese della festa patronale – i Santi Corpi – nella quale siamo chiamati a ripensare lanostra vita per ritornare alleradici della fede, per viveresempre più in comunionecon i tanti sanmauresi chenei secoli sono stati concreta-mente discepoli di Gesù. L’eu-caristia solenne sarà celebratadomenica 19 settembre nellaparrocchia di Sant’Anna, chefesteggia i suoi 50 anni di vitacomunitaria e sarà presiedutada mons.

Jérôme Gapangwa,Vescovo del Congo Zaire. Inquesta occasione festeggeremoanche suor Generosa Nabitan-ga e suor Manuela Robazzache celebrano il 25° anno di professione religiosa.Settembre, quest’anno, è ancheil momento in cui salutiamoalcuni amici che hanno dedi-cato tanto tempo e tante ener-gie a noi di San Mauro. PadreGiacomo Gianoglio è statotrasferito dalla comunità di VillaSperanza a una comunità in Albania presso una scuola professio-nale. Suor Maria Teresa Scabeni esuor Maria Grazia Spinato, dopotanti anni di presenza nella par-rocchia di San Benedetto, sonostate trasferite nella comunità diTorino.

Al loro posto verrannosuor Francesca e suor Cristinache lavoreranno nelle attività dellanostra Unità pastorale. Il cambiare comunità è una sofferenza siaper chi parte, sia per chi rimane,ma siamo certi che camminare eseguire il progetto che Dio sta costruendo con noi è l’unico modoper testimoniare la grandezza dell’amore di Dio.

Affidiamo padre Giacomo, suor Teresa e suor Grazia alla tenerezzadi Dio, perché li accompagni permano nelle loro nuove esperienze pastorali e faccia risuonare nelloro cuore la gratitudine di tantepersone di San Mauro, che in questi anni hanno potuto incontrareGesù grazie a loro.

don Ilario CORAZZA
don Claudio FURNARI

L’AQUILA E DINTORNI – 90 GIOVANI TORINESI AL CAMPO DELLA CARITAS IN ABRUZZO, FRA I TERREMOTATI

Dal 25 luglio al 2 agosto scorsi 90 giovani della diocesi di Torino hanno partecipato al campo di volontariato «Su ali d’Aquila », l’iniziativa organizzata nelle zone terremotate dell’Abruzzo dal Seminario minore di Torino, dal Centro diocesano vocazioni e dall’Uffi cio della pastorale giovanile. Destinazione della comitiva: il campo delle delegazioni piemontese e umbra della Caritas a Pile (zona industriale a ovest de L’Aquila). Di seguito il réportage scritto da un nostro collaboratore, che ha partecipato al viaggio.

***
Giunti all’Aquila, domenica 25 luglio, ci accoglie un silenzio rumoroso, contornato da cantieri, crepe e detriti. Il nostro autobus segue il percorso del fi lobus incompiuto della città, frutto di un errore di calcolo, e giunge a piazzale Sant’Antonio. Qui, dietro una chiesa puntellata e chiusa da quel tragico 6 aprile 2009, spunta la tendopoli che ospita il campo Caritas di Pile. La città è tutta un cantiere. Banche e alberghi nuovi di zecca si alternano a palazzi distrutti e inagibili. Numerosissime sono le casette in legno e i container.

Cani randagi si aggirano per la città. A rompere il silenzio ci pensano gli automobilisti suonando il clacson per salutare i conoscenti che incrociano o per allontanare gli animali che tagliano la strada ai veicoli. Il campo in cui dormiamo è nella zona ovest della città. È gestito dalla Caritas dal 20 giugno 2009; oltre ai due responsabili, un religioso e un laico, ci vive e lavora un gruppo di circa dieci giovani. Prima fungeva da tendopoli per gli sfollati della città, ora è in grado di ospitare fi no a duecento volontari, portando aiuto a centinaia di persone. Vicino ai container e alle tipiche tende blu della Protezione civile ci sono segni di vita e vitalità. Come l’orto nato fra i sassi e la ghiaia o la chiesa ricavata dentro a un tendone bianco, vicino all’originario edifi cio sacro reso inagibile dalle scosse.

Due statue di santi in gesso troneggiano al fondo del luogo di culto: san Gabriele dell’Addolorata e sant’Antonio Abate che dà il nome alla piazza e alla chiesa. Anche se di domenica pomeriggio molte edicole sono già chiuse, passeggiando in città l’occhio cade sulle locandine che esprimono a chiare lettere la gravità della situazione che permane a oltre un anno dal terremoto. Di fi anco a questi titoli, frutto di letture diverse della medesima fase defi nita di «post emergenza », campeggiano a caratteri cubitali gli annunci dei giornali per chi cerca lavoro. Prima di cena facciamo in tempo a partecipare alla Messa. Anche nell’omelia il celebrante descrive L’Aquila come «una città che fatica a risorgere». La giornata seguente comincia presto. dopo le lodi mattutine e la colazione, ci riuniamo per scoprire quale mansione spetterà a ognuno. La mia prima destinazione è il monastero di San Basilio, complesso risalente al XVIII secolo, nel centro del capoluogo abruzzese.

Siamo in otto: due fanno il cemento, tre portano gli attrezzi da lavoro e i mattoni e altri tre scaricano piastrelle da un furgone. Nel chiostro occorre ricostruire i camminatoi che attraversano l’orto e il cortile. Di tanto in tanto spuntano le anziane monache celestiniane benettine, ospiti del santuario. Il secondo giorno di attività, martedì 27, si presenta più duro: servono uomini per smantellare a picconate la base in cemento di un ex campo sfollati, meglio conosciuto come «la cava». Alla sera trasciniamo le braccia come se non fossero più attaccate al corpo. Il giorno seguente sono destinato ai giri di «visita» con altri due volontari: di primo acchito gli aquilani appaiono duri e diffi denti, ma dopo pochi minuti i loro occhi si coprono di una patina lucida che fa partire il disco dei ricordi di una notte che non riusciranno mai a dimenticare.

Alfonso, e come lui tanti altri, ha una casa che dopo le perizie è stata giudicata agibile, ma da quel fatidico giorno di aprile dello scorso anno non ci vuole mettere più piede. Così l’interno della basilica di S. Maria di Collemaggio Giovedì 29 luglio faccio parte della decina di volontari che, a turno, si ferma a Pile per pulire le tende e i container, ordinare il magazzino e la dispensa, prendersi cura della cucina e preparare pranzo e cena. Dosi, tempi e attenzione alle intolleranze alimentari sono aspetti chiave per la vita di un campo di volontari così grande e stanno alla base di qualunque esperienza comunitaria. Venerdì vengo inviato a Coppito, paesino appena fuori dal capoluogo, dove la Caritas ha una sede operativa adibita a centro di ascolto. Di fronte c’è una parrocchia circondata da ponteggi e tutta puntellata per evitare ulteriori crolli. Nel giardino adiacente nascerà presto un parco giochi per i bambini grazie al lavoro dei volontari.

Gli abitanti ci sono molto grati per il lavoro che facciamo e ci offrono cibo e bevande per ristorarci. Sabato 31 Tonino, originario de L’Aquila, padre di famiglia e nonno di due bambine, ci guida nella città distrutta. È un uomo innamorato della sua terra e ha deciso di non abbandonarla nemmeno quando gli è stata offerta la possibilità di scappare dalle continue scosse telluriche. Insieme a lui vediamo la Casa dello studente, piazza d’Armi, piazza Duomo, Colle Maggio e partecipiamo alla Messa nella chiesa distrutta, ma ora ritornata agibile e aperta ai fedeli. Sono luoghi immersi in un silenzio e una desolazione che lasciano impietriti. Ma tra le crepe e le fessure, che lasciano intravedere il cielo, c’è lo spazio per la rifl essione interiore stimolata dal viaggio attraverso una terra affamata di speranza.

La giornata si conclude con una delle visite più toccanti: il monastero di Santa Chiara a Paganica. Qui la notte del sisma perse la vita la madre abbadessa Maria Gemma di Gesù Ostia, mentre si sono salvate, sebbene ferite, una decina di monache e novizie. Alcune ci hanno raccontato la loro tragica esperienza: parole forti e testimonianze che non si dimenticano e che anch’io, come gli altri volontari, riporto come me a Torino.
Emanuele FRANZOSO
(Da la Voce del Popolo di domenica 25 agosto 2010)

venerdì 10 settembre 2010

TESTIMONI SCOMODI

Come testimoniare la fede? Qua-
le esempi abbiamo ricevuto dalle
generazioni che ci hanno pre-
ceduto? Quali sfi de, quali «per-
secuzioni» colpiscono ancora
gli uomini d’oggi in ragione del
Vangelo? La ricorrenza dei Cor-
pi Santi – festa patronale di San
Mauro Torinese, 19 settembre –
sarà preceduta quest’anno da un
ciclo di serate di preghiera e di
rifl essione su altrettanti «nodi»
della testimonianza cristiana.
Lunedì 13 settembre alle 21,
presso Santa Maria di Pulchera-
da, incontro pubblico sul tema:
«Il sangue dei martiri suscita
nuova cristiani – La storia della
Chiesa è segnata dalla testimo-
nianza dei martiri».
Martedì 14 settembre alle 21
presso il Sacro Cuore di Gesù: «Il
cristiano di fronte alla sofferen-
za fi sica – La testimonianza di
Chiara Luce Badano», che sarà
proclamata beata il 25 settem-
bre.
Mercoledì 15 settembre alle
21 presso San Benedetto: «La te-
stimonianza della verità – Il cri-
stiano di fronte alle scelte nella
vita civile».
Giovedì 16 settembre alle 21
presso Sant’Anna «Nuove forme
di persecuzione: il profugo».
Sabato 18 settembre alle 21
presso Villa Speranza musical su
Madre Teresa.