Claudio CERICOLA
articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
Claudio CERICOLA
articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
A metà Ottocento l’ingaggio dell’esercito fu il trampolino di lancio per il piccolo laboratorio, che su telai primitivi prese a produrre bordi e cinghie in gran quantità. Tutt’oggi produce etichette tessute, composizioni stampate, nastri Jacquard, cartellini stampati e paramenti sacri. Una realtà produttiva che resiste alla crisi economica. Per ripercorrere la sua storia dobbiamo partire dal 1840, quando Giovanni Bonicatti aprì il laboratorio in piazza Carlina: trent’anni dopo si rendeva già necessario il trasferimento presso locali più ampi in via Vanchiglia.
Vincenzo, nipote del fondatore, si trasferì in Francia, nella zona di Lione (a St. Etienne), rinomata per la coltura dei bachi da seta. Fu assunto in azienda tessile con la qualifica d’apprendista, ebbe modo di visionare le prime macchine da tessitura Jacquard, le più moderne di quell’epoca, e intuendone la validità, mandò i disegni a Torino. Il padre fece costruire un telaio italiano gemello di quello francese, e così a Torino s’iniziò la produzione di nastri «scritti» da inserire nelle cuciture delle gonne e dei pantaloni delle sartorie torinesi. Rientrato in Italia Vincenzo soggiornò temporaneamente a Pisa dove trovò i finanziamenti necessari per l’acquisto di una fornace torinese in disuso, in zona Borgata Rosa. La trasformò in stabilimento per la produzione di fornitura militare e ferroviaria, ma soprattutto la attrezzò per stampare le prime etichette su scala industriale.
Dopo la prima guerra mondiale Pietro, figlio di Vincenzo, trasferirà l’azienda a San Mauro, in Borgata Pescatori dove tutt’ora risiede. Figura chiave nella conduzione era la moglie di Pietro. L’attività si sviluppò acquisendo la fornitura d’etichette tessute, dei primi grandi marchi, come il Gruppo finanziario tessile, Maglificio Biella, Zegna, che nascevano in quegli anni; proseguiva anche la produzione di nastri per forniture ferroviarie e per la Fiat. La seconda guerra mondiale interruppe brevemente la produzione. Poi un altro Vincenzo, con la moglie Teresa ed il collaboratore Giuseppe Audello, ripresero il lavoro migliorando la qualità e produttività, anche grazie a telai più moderni, pensati all’interno dell’azienda stessa. La ditta venne ampliata. Negli anni Ottanta del Novecento la gestione è passata ai figli di Vincenzo, Pietro e Franca, che hanno acquisito la fornitura di grandi marchi quali Valentino Garavani, Giorgio Armani, Dolce & Gabbana Robe di Kappa, Jesus, Invicta, Henry Cotton’s, solo per citarne alcuni. La loro generazione ha visto l’abbinamento dei telai all’elettronica: un lavoro che prima veniva svolto da almeno 5 persone, si compie ormai con 3. Anche i paramenti sacri, un tempo pazientemente ricamati dalle suore di clausura, oggi possono essere programmati in uno di questi telai. Oggi la battaglia industriale di Bonicatti si gioca tutta sulla qualità. La competizione del mercato internazionale è pressante. Mentre i grandi gruppi tessili e le grandi firme, acquirenti di etichette, tendono a trasferire la produzione all’estero, nei paesi emergenti, fa riflette una foto storica (anno 1900) affissa nello studio del nastrificio sanmaurese: decine di operai in posa con i loro bambini, che a quell’epoca – quando Bonicatti aveva 60 dipendenti – si avvicinavano al mestiere intorno ai 10 anni.
Di fronte alla sfida della globalizzazione Pietro e Franca stanno dando al prodotto una valenza sempre più artigianale, curando la qualità, privilegiando il contatto umano e sfruttando l’esperienza di ben sei generazioni. Dopo aver attraversato il XIX e XX secolo, ci auguriamo che questo settore lavorativo così particolare, presente nel nostro territorio, continui il suo cammino nel XXI secolo con la settima generazione.
Luisa PILONE
articolo pubblicato su "Testata d'Angolo - Voce del Popolo" del 25 XI 2012
Il Concilio pose la Chiesa (perché è solo su questo aspetto che qui focalizzeremo la nostra riflessione) nell’orizzonte della cultura contemporanea, di allora, che ci guida alla riflessione anche oggi rispetto alla secolarizzazione e alla post modernità, parti di un fenomeno che è stato chiamato «fine della cristianità», dove per fine della cristianità si intende fine di una situazione storica dove il cristianesimo era la religione unica della nostra società. Un modo di incarnare il cristianesimo che oggi, di fatto, è superato.
Dobbiamo avere ben chiaro che «fine della cristianità» non significa fine del cristianesimo, che si può incarnare anche in forme nuove; si tratta di trovare modelli nuovi, non sperimentati. È anche difficile definire i contorni della cristianità; tuttavia non c’è dubbio che oggi c’è qualcosa di grandemente diverso nel modo di esistere della Chiesa nella società occidentale. Nella società c’è qualcosa di culturale in atto che va capito: intanto non è più scontata l’appartenenza alla Chiesa, la partecipazione alla vita liturgica è calata, c’è una diffusa ignoranza sul cristianesimo e sui suoi contenuti. Sembra in atto più una diffusa indifferenza che una aperta opposizione. Su alcuni aspetti, soprattutto di tipo morale, si pensa di poter decidere in proprio. Un certo modo di pensarsi presente nel mondo da parte della Chiesa, che in passato ha permesso la trasmissione della fede, può essere più un peso che una risorsa. Ad esempio: la parrocchia sempre presente dovunque nella società civile in cui il perno è sempre il prete (parrocchia deriva dal greco e dice proprio la presenza della chiesa dove ci sono le case).
Un certo modello di presenza ecclesiale ormai è un peso, più che altro. Lo stesso magistero invita a una nuova evangelizzazione dell’Europa, perché si pensa che l’occidente non è più evangelizzato. La crisi del modello della cristianità è da legarsi con l’affermarsi della modernità e con il modello della modernità avanzata, che è la secolarizzazione, che va presa in seria considerazione. Di solito è interpretata secondo i codici della scristianizzazione, dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa. Ma questo non ci dice in che cosa consiste. Gli stessi studiosi ne danno interpretazioni diverse, anche divergenti. La secolarizzazione è da leggersi innanzi tutto come effetto del fatto che la religione non può più rappresentare «l’unico» fattore di integrazione sociale. Il fattore religioso si trova a vivere in una società differenziata.
Se in passato ci si chiedeva che cosa rende «società etica» un insieme di persone si diceva che è il fenomeno religioso. Oggi non è più così, perché la religione abita una società segnata da diversi sottosistemi: rappresenta soltanto uno di questi sottosistemi. I fondamentali sottosistemi sono: quello economico, che si organizza in base al codice simbolico del denaro; quello politico, che ha il suo codice nel potere; il sistema giuridico, che ha il suo codice nel diritto; il sistema famiglia il cui codice è l’amore; il sistema educativo che ha come codice la valutazione soggettiva; il sistema arte con il codice del bello; il sistema morale con codice bene; il sistema religioso con il codice fede e salvezza. La società si organizza in questi sotto sistemi. Ogni sottosistema funziona in se stesso con i propri criteri e codici. La fine del macro fenomeno della cristianità si spiega con questa frantumazione. Il sistema religioso si deve integrare in questa complessità.
Non abbiamo lo spazio sufficiente per approfondire queste problematiche (non si potrebbe continuare a farlo nel blog di Testata d’Angolo?) e allora molto sinteticamente proviamo a delineare quale modello è possibile per la Chiesa in questa società complessa, perché per noi significa non tanto impostare uno studio teorico, ma cercare di capire che cosa fare domani mattina. Vorrei farmi aiutare dalla recente Lettera pastorale del nostro Arcivescovo «Devi nascere di nuovo», là dove riflette sulla Chiesa «madre e maestra». In questa lettera chi cerca una risposta «organizzativa» resta deluso, perché all’Arcivescovo Cesare Nosiglia interessa soprattutto «non lasciarsi prendere dalle cose da fare e dalla funzionalità di una pastorale». Le parrocchie devono essere soprattutto «comunità di credenti, meno preoccupate di far funzionare bene la pastorale, i servizi e le strutture e più aperte all’accoglienza del mistero di Cristo quale fonte prima della salvezza, ricordando che il Vangelo è credibile e affascinante, se chi lo propone è credibile e affascinante».
Le comunità sono chiamate ad accompagnare rispettosamente ogni vicenda umana, evitando che l’istituzione giudichi e esiga un prezzo prima di donarti qualcosa. Come per Gesù, ogni persona deve essere unica, un tesoro prezioso da riconoscere e valorizzare. Ogni incontro, anche il più banale, come la consegna di un certificato, deve essere nel segno dell’amore e non semplicemente della funzionalità. Al dottore della Legge che gli chiede qual è il primo comandamento Gesù risponde «Il primo è amerai il Signore tuo Dio... e il secondo è ama il prossimo tuo come te stesso». Dio è la fonte dell’amore, ma non possiamo dare per scontato che dalla fonte poi scorra l’acqua, se costruiamo dighe per fermarne il corso. E per farla scorrere dobbiamo mettere in pratica anche il secondo comandamento «Ama il prossimo tuo come te stesso». Fratello mio, per comunicarti qualcosa, per farti toccare con mano il mio amore non posso far altro che cercarti, poi cercare di capirti, poi, anche se non riesco a capirti, donarti comunque attraverso me (quale impegno immane) l’amore di Dio e poi, cosa ancora più difficile, non chiederti mai un contraccambio. Lasciare che sia lui a desiderare di risalire alla fonte. Dobbiamo amare per primi, come Dio ci ha amati per primo, anche quando non eravamo per nulla «amabili». E amarli ciascuno, uno alla volta, ciascuno con il proprio nome e non una massa indistinta di fratelli.
L’amore è contagioso. Quando ami una persona, poi ne ami un’altra e un’altra ancora. Se la società contemporanea è caratterizzata da sottosistemi sempre più complessi, che hanno poi come esito la frammentazione sociale e l’esaltazione del singolo (non della persona) e il soddisfacimento dei suoi esclusivi desideri, questo modo di amare costruisce una Chiesa che esalta la persona (unica e irripetibile) in un contesto comunitario in cui ognuno è chiamato a costruire il bene comune. Questo mi sembra il fine a cui tendere.
diacono Roberto PORRATI
articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
Il Comune non possiede alcun potere di «equiparazione» fra coppie sposate e coppie di fatto, materia su cui ha competenza solo il Parlamento nazionale: anche per questo l’iniziativa di San Mauro pare inutile e inopportuna. Piccole concessioni il Comune potrebbe accordare in settori specifici (per esempio la sepoltura dei conviventi nello stesso cimitero, o agevolazioni tariffarie sui mezzi di trasporto) ma sul fronte dei servizi fondamentali come casa, assistenza, salute, il registro promosso dai consiglieri del Partito Democratico, Italia dei Valori e Cinque stelle (non direttamente dalla Giunta Dallolio, il sindaco si è astenuto dal voto) opererà solo «compatibilmente con la normativa vigente». non produrrà nulla che non sia già consentito dalla legge e dalla Costituzione repubblicana, la quale assegna una posizione specifica e molto chiara alla famiglia «fondata sul matrimonio» (art. 29).
A Torino il registro delle unioni civili esiste da due anni e non è mai decollato. «Fra l’estate 2010 e 2012 – riferisce il presidente del Consiglio comunale subalpino Giovanni Maria Ferraris – ha raccolto l’autocertificazione di 144 coppie su una popolazione di oltre 900 mila abitanti. Gli interessati hanno capito che si tratta di uno strumento simbolico, senza effetti».
A differenza di altri concreti interventi dell’amministrazione sanmaurese nel campo delle politiche sociali (per esempio recenti provvedimenti a sostegno all’abitazione delle famiglie povere) l’istituzione del registro lascia un retrogusto di propaganda. a noi sembra che il vero compito del Comune – al di là degli appelli – resti oggi quello di affrontare l’emergenza economica, garantire i servizi possibili, senza troppo distrarsi e senza illudere.
Alberto RICCADONNA
Articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
Il convoglio, partito dalla laguna veneziana il 2 agosto, superato il delta e affrontata la corrente contraria del Po, aveva costeggiato le rive dei numerosi stati rivieraschi: Repubblica di Venezia, Ducato di Mantova, Ducato di Milano, la Romagna pontificia, i Ducati di Modena e di Parma e Piacenza. Dopo una sosta al Ponte di Pavia, il viaggio riprese il 15 agosto, giorno dell’Assunta, e il 28 giunse appunto a Frassineto così che Giovanni Antonio Coppo (funzionario delle dogane di Casale) potè inviare un messaggio al Generale di Saint Laurent a Torino: «È giunta a questa rippa sta mane circa le hore quindeci il consegnato bastimento felicemente». Partito da Crescentino il giorno 1, il convoglio venne preso in consegna il 2 settembre dal governatore del palazzo del Valentino, Giovanni Battista Lanfranchi. Il viaggio sul fiume era durato in tutto 31 giorni. Storicamente, dopo l’arrivo a Torino, la Peota fu protagonista del primo viaggio compiuto dal Re in Italia via fiume nel 1734; della celebrazione del matrimonio tra Carlo Emanuele IV e Maria Clotilde di Borbone nel 1775; dei matrimoni di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide nel 1842 e di Amedeo d’Aosta con Maria dal Pozzo della Cisterna nel 1867.
La Peota è stata gelosamente conservata per 280 anni (il coevo Bucintoro dogale del 1729 fu distrutto per recuperare preziose lamine d’oro). Riportata all’antico splendore grazie anche al finanziamento da parte della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, dallo scorso 16 novembre fa bella mostra di sé alla Reggia della Venaria dove resterà inserita nel percorso museale, probabilmente in una sezione dedicata alla cultura fluviale piemontese.
Piero NEBBIA articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
È il caso dell’industria Ferrino, in cui anche l’arcivescovo Nosiglia si è recato durante la visita Pastorale a San Mauro nel gennaio scorso. Partita nel 1870 da un piccolo negozio di via Nizza, l’azienda specializzata in attrezzature sportive vanta oggi un fatturato che si aggira intorno ai 20 milioni di euro l’anno. La storia di Ferrino ha legami anche con la Fiat: nel secolo scorso il senatore Giovanni agnelli ordinò personalmente le «capote» per le auto. e oggi, a poche centinaia di metri dal sito Ferrino, sorgono gli stabilimenti Fiat industrial che stanno vivendo un periodo di riorganizzazione interna. Sul territorio sanmaurese c’è la Case New Holland (cnh) dove si producono macchine agricole e a movimento terra, commesse e riorganizzazioni permettendo (in questo periodo i dipendenti sono in cassa integrazione).
In quelle stesse vie convivono i corrieri – Tnt e Bartolini, per citare i principali – mentre le tipografie, rilegatorie e le cartiere hanno avuto meno fortuna (edilibro boccato, cartiere burgo). «Poi ci sono eccellenze come Lavazza e Andorno – afferma Lucrezia colurcio, vice sindaco sanmaurese – L’aspetto positivo in questo particolare momento storico è che le tre amministrazioni comunali in cui è racchiuso Pescarito (Settimo, San Mauro e Torino) sono sedute intorno a un tavolo per rendere ancora competitiva quest’area strategica». L’area si presterebbe infatti a diventare una zona di interscambio con Torino, data la sua posizione e le sue vie di accesso alle autostrade. molto dipenderà anche dal futuro sviluppo della metropolitana e nel frattempo le amministrazioni comunali hanno messo in atto una serie di iniziative e sinergie per trovare nuove proposte per Pescarito e non solo.
a San Mauro poi non mancano le imprese edili, piccole e medie imprese produttive, quelle artigianali e negli ultimi anni, sono proliferati i supermercati, se ne contano molti, tre a poca distanza sono stati aperti recentemente a Sant’anna.
Emanuele FRANZOSO
articolo apparso su "Testata d'Angolo - Voce del Popolo" il 25 XI 2012
Avviare un percorso strutturato e specifico sull’accompagnamento al lavoro è stata la proposta lanciata dall’arcivescovo di Torino monsignor Cesare Nosiglia durante la Visita pastorale a San Mauro nel gennaio scorso. Oggi questa proposta viene raccolta da un gruppo di volontari e dai parroci sanmauresi che nella primavera 2013 – in linea con il «Servizio per il lavoro» dell’Ufficio diocesano Lavoro – attiveranno un servizio locale sia per chi cerca lavoro, sia per chi l’ha perso.
«Una comunità che si interroga» è il primo dei titoli, e anche lo spirito, delle serate di preparazione dei volontari, tenute a partire da ottobre da don Daniele Bortolussi, direttore della Pastorale del Lavoro, e da Chiara Labasin in collaborazione con Engim Piemonte e fondazione Casa di Carità. «Le comunità cristiane dovrebbero sempre sentire la dimensione del lavoro come parte integrante dell’azione di evangelizzazione, a livello giovanile e adulto – spiega don Bortolussi – Il lavoro non può essere considerato solo quando manca e l’azione di accompagnamento nella sua ricerca si rivela una carità autentica quando è volta a far emergere le potenzialità delle persone, porta a conoscenza delle diverse opportunità formative e lavorative, talvolta sconosciute, offrendo strumenti per aumentare la propria occupabilità». Per avviare il servizio a San Mauro è in corso la formazione di volontari in grado di stimolare, riflettere e anche pregare per il lavoro. «Particolare attenzione va prestata al mondo dei giovani che le statistiche ci dicono essere la categoria più provata nell’inserimento nel mondo del lavoro» aggiunge Bortolussi.
Gesti concreti, quindi, per trovare un po’ di luce nel buio che è cominciato a calare dal 2008 in Italia e non solo. «Talvolta l’abbandono della ricerca del lavoro risiede nella fatica di vivere quest’azione in piena solitudine» spiegano gli organizzatori. Il Servizio per il lavoro può agire anche nell’ambito dell’orientamento rivolto ai più giovani, in difficoltà nella fase di discernimento dei percorsi di studio sia per la scuola superiore sia per l’università. Anche questo è realizzato «in rete» con gli enti che già stanno operando in questo settore. «Il Servizio in una Unità Pastorale come San Mauro non si sostituisce alle persone nella ricerca del lavoro e nell’orientamento – precisa Chiara Labasin – ma le accompagna nel modo più professionale e fraterno possibile, manifestando anche in questo modo l’amore di Dio che si fa presenza concreta attraverso i cristiani».
Cosa sta emergendo in questa fase preparatoria? È ancora presto per dirlo ma le fondamenta per attivare uno Sportello specifico – in un momento storico in cui molti giovani non riescono ad orientarsi e sono senza lavoro e i loro genitori lo hanno perso o rischiano di perderlo prima della pensione – ci sono. Per riuscirci non si può prescindere da una maggiore conoscenza del territorio in cui si vive. Partendo dall’esempio del Vangelo, calato nell’attualità, San Mauro ha un’opportunità: arricchire e potenziare le occasioni di ascolto su un tema attuale e spesso affrontato solo nel momento della necessità. Il corso durerà fino alla primavera del 2013 con alcuni workshop suddivisi in giornate intere e rivolte ai futuri addetti all’apertura dello Sportello.
Emanuele FRANZOSO
articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012
Per questo le nostre comunità parrocchiali, in questo periodo di crisi economica (e non solo economica!) continuano ad essere impegnate in azioni di carità e di solidarietà e in azioni educative per vivere la comunione. In questi giorni, dopo le settimane comunitarie dei ragazzi e delle ragazze delle superiori (in cui i ragazzi e le ragazze, in due settimane separate, vivendo insieme alla casa dell’Immacolata hanno messo la preghiera e la vita di comunione al centro della vita ordinaria), dopo le sei settimane comunitarie vissute da quattro giovani ragazze dai 19 in su (che per sei settimane hanno vissuto insieme nella casa parrocchiale del sacro Cuore di Gesù a sambuy, condividendo tutta la loro vita ordinaria, la gestione economica della vita comunitaria e la vita di preghiera seguendo il Vangelo di marco nei capitoli della Passione e risurrezione di Gesù), dopo l’inizio degli incontri di formazione dei gruppi dei giovani, delle famiglie e degli anziani (che aderiscono al percorso formativo dell’azione Cattolica Italiana), ci incontreremo nei ritiri di avvento per far spazio nella nostra vita a Dio e al suo regno.
Continuano anche i gesti concreti di attenzione verso i più poveri della nostra città: grazie alla generosità di tanti sanmauresi (che si è espressa ultimamente nella raccolta fondi di euro 3.525 svolta fuori dal cimitero e la raccolta cibo fatta davanti al Famila e al Carrefour di sant’anna) la san Vincenzo di unità Pastorale è arrivata a seguire 100 famiglie che fanno fatica; le nostre parrocchie, in collaborazione con il Comune di San Mauro, accompagnano alcune famiglie che hanno ricevuto lo sfratto esecutivo o garantendo per l’affitto o ospitandole temporaneamente nella casa parrocchiale di Sambuy e nella stanza con bagno che c’è a Sant’Anna.
Gesti per far spazio nella nostra città e nella nostra vita alla venuta del Signore Gesù, gesti che ricordano la sua venuta 2000 anni fa, gesti che dicono il desiderio che il Regno del Cristo Risorto sia presente qui e ora in mezzo a noi... Vieni Signore Gesù.
don Claudio e don Ilario
articolo apparso su "Testata d'Angolo" del 25 XI 2012