giovedì 13 settembre 2012

Ponte Vecchio racconta

Un’impresa resa possibile dalle offerte della popolazione – Tante memorie lungo le rive del Po, dove Cesare Pavese sostava in cerca di ispirazione
Cesare Pavese amava passeggiare a san mauro sulle rive del Po. La proprietaria del ristorante Frandin lo incontrò spesso, fino alla vigilia della sua tragica morte. Piccoli e grandi episodi come questo, legati alla storia del fiume e al Ponte Vecchio – che l’8 settembre compirà cento anni – affiorano nella memoria di protagonisti e testimoni locali, rintracciati da «Testata d’angolo» per celebrare il centenario del Ponte. Il Ponte parla di noi. Racconta la storia della fatica compiuta dai nostri avi per «collegare» san mauro alla pianura di Torino. Decisivo fu il contributo economico dei sanmauresi, 412 sottoscrizioni. Prima del Ponte c’erano solo le barche. Uno dei simboli di San Mauro è il ponte Vittorio Emanuele III (Ponte Vecchio) che in tutta la sua armonia fa bella mostra di sé e in queste settimane accende le sue prime cento candeline. Opportune manifestazioni celebreranno il centenario per far memoria di quest’opera imponente, inaugurata l’8 settembre 1912, in una stagione fervida di innovazioni, opere pubbliche, iniziative destinate a trasformare la vita della gente. A cavallo fra Otto e Novecento si respirava aria di progresso: in questo clima prese piede l’idea di costruire un ponte sul Po in sostituzione del vecchio servizio di barche che trasportavano persone, animali e merci da una sponda all’altra del fiume, dietro pagamento di un pedaggio. Leggiamo nel libro «Ël nòstr Pont ansima al Po’» di Renzo Masiero (vedi altro servizio in questa stessa pagina) che il porto per le barche sul Po aveva origini antichissime, risalenti a un’epoca nella quale il fiume si chiamava Eridano e San Mauro era Pulcherada (quindi prima del 1418, quando il nome di Pulcherada decadde). Chi scrive ricorda i racconti di sua nonna Carola Leonardo in Gili: narrava che suo padre Edoardo era stato uno dei promotori della costruzione del ponte e della raccolta di fondi fra la popolazione. Dal libro di Masiero apprendiamo che fu redatta una lista con 412 sottoscrizioni: raggiunse le 43.949,10 lire, pari al 9% del costo dell’opera finanziata per il resto con denaro pubblico. «Considerando che il comune contava poco più di 3000 abitanti – osserva Masiero – lo sforzo finanziario dei sanmauresi fu a dir poco commovente ed ammirevole». Primo firmatario era il sindaco Giovanni Mochino con la cifra di 100 lire. L’offerta più cospicua, 1000 lire, venne da Fedele Paletto per la «Società operaia», nella sua qualità di presidente. Altre 600 lire furono sottoscritte dalla contessa Caterina Balbis di Sambuy e dal parroco Felice Melica. Un elenco piuttosto lungo riguarda i donatori di 500 lire, fra cui Lorenzo Luchino, Vincenzo Mochino, Angelo Pilone, Raimondo Gilardi. Gli eredi Balbis di Sambuy contribuirono per 400 lire, mentre Edoardo Leonardo e Giovanni Pilone versarono 300 lire. Altre offerte oscillavano fra le 20 e le 100 lire, e sono encomiabili poiché dimostrano l’impegno di chi aveva meno disponibilità. Testimonianze indirette di quello che avvenne ci sono pervenute dall’architetto Tommaso Richetti e da Angelo Vergnano. La famiglia Richetti, una delle più antiche di San Mauro, ricorda che il bisnonno Carlo versò un’offerta di 500 lire; il nonno Tommaso partecipò all’inaugurazione del ponte con un gruppo di militari, indossando la divisa della guerra di Libia; la zia Margherita Mazzucchetti partecipò con altri bambini alla posa di monete murate nel nuovo ponte, come si usava allora. Felicita Rosa, classe 1902, ha tramandato i suoi ricordi al figlio Angelo Vergnano. Quando fu inaugurato il ponte aveva ottenuto un buon rendimento scolastico e ottenne come premio di poter eseguire una canzoncina che decenni dopo ancora ripeteva al figlio: «Viva il ponte di San Mauro, bel paese in riva al Po. Siamo vispi, fieri e baldi, siamo i figli ed San Mò». Con il nuovo ponte si chiuse un’epoca – quella delle imbarcazioni – che noi oggi immaginiamo romantica, ma all’epoca conosceva le sue scomodità. L’attraversamento del fiume era legato a orari precisi. L’ultimo responsabile del porto di San Mauro centro fu Domenico Prina, detto Mena, padre di Ritin, icona di San Mauro per la sua simpatia innata. Nell’oltre Po era responsabile del servizio suo cugino Risot. In un’intervista concessaci nel 2009, Ritin ci portò con la memoria in un paesaggio che non esiste più. Era nata nella trattoria «Pesci vivi», dove oggi c’è il teatro Gobetti, nel 1917. «Il Po per me era il mare – raccontò – le mie estati erano lungo le sue rive insieme a tanti amici. All’epoca tutti facevamo il bagno, le acque del fiume lo permettevano ed i pesci erano buoni e sani». Le rive del fiume a San Mauro furono frequentate anche da Cesare Pavese, che sovente veniva a pranzare al ristorante Frandin, cercando di non farsi riconoscere. Dopo pranzo andava lungo via Goito verso il Po, si fermava sotto ad una pianta, apriva la sua seggiolina pieghevole, forse cercava ispirazione per le sue opere. Un giorno Anna Frandin, detta Neta, proprietaria del ristorante insieme alle sorelle Mariuccia ed Augusta (Gusta), vedendolo pensieroso con il viso fra le mani gli chiese «Cesare, cosa it l’has?». Lui le rispose che il giorno dopo avrebbe avuto la risposta dai giornali Neta pensò all’annuncio di una nuova opera di Pavese; il giorno dopo apprese invece della sua tragica morte. Luisa PILONE

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