In queste settimane sarà capitato
un po’ a tutti di domandarsi
del proprio futuro in
relazione alla situazione del
nostro Paese e della nostra
Chiesa. In molti hanno fatto
appello a questo tema per presentarci
le loro proposte o per
riflettere su quella che è la missione
della Chiesa.
Non possiamo rimanere sordi
o muti agli appelli del futuro
perché questi ci toccano direttamente,
così come riguardano
i nostri giovani e ragazzi.
Così il nostro futuro si riempie
di speranze, attese, sogni
ma anche dubbi, paure e forse
angosce. Il rischio è che questo
futuro inghiottisca tutta
le nostre energie, ma senza
darci una speranza o un senso
per quello che stiamo facendo.
Penso quindi che la strada migliore
sia ancora una volta imparare
dalla nostra fede che ci
dice di una attesa del Signore
che verrà nella gloria.
Il Cristo è già venuto nell’umiltà
e nel nascondimento.
Ora la nostra preghiera deve
farsi carico di un cammino
di tutta l’umanità verso il
compimento della storia, che
in ultima analisi è buono. Il
compimento è garantito da
Dio, pertanto gli eventi favorevoli
o sfavorevoli non possono
renderci ottimisti o pessimisti
perché nostro punto di riferimento
sono le promesse eterne
di Dio.
Le promesse parlano di: liberazione
degli afflitti, diritto
anche per gli oppressi, vita per
ognuno, perdono, riconciliazione,
pace, giustizia, amore
reciproco.
Queste promesse di Dio esigono
da noi una critica della
nostra attuale condizione e
quindi una conversione che ci
permetta di far crescere la nostra
umanità per il bene della
Chiesa e del mondo intero. I
nostri sforzi, in questo senso,
anche se non risolvono tutto,
ci permettono di sentire come
nostra quella città che Gesù ha
inaugurato per noi ma che attende
di essere completata.
Il tempo di Quaresima ci ricorda
concretamente tutto questo
e quindi possiamo iniziare
da subito a percorrere questa
strada. In questi giorni di preparazione
alla Pasqua si è parlato
e si parlerà di preghiera e
appuntamenti personali e comunitari,
si progetta una seria
collaborazione e comunione
con popolazioni in difficoltà,
ci saranno momenti specifici
per ricevere la misericordia di
Dio, vivremo in forma liturgica
i misteri della nostra salvezza
attraverso i sacramenti.
Tutto ciò fa parte del nostro
futuro perché si innesta in
colui che ha detto «Io sono
colui che sono» (Es 3,13). Su
questo nome il popolo ebraico
ha compiuto un cammino
di liberazione attraverso il deserto
durato quarant’anni, su
questo nome i discepoli hanno
creduto alla risurrezione
di Cristo portando la buona
novella in tutto il mondo, su
questo nome noi dobbiamo
affrontare il futuro insieme e
con fiducia.
don Ilario CORAZZA
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 17/02/2013
domenica 17 febbraio 2013
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