domenica 17 febbraio 2013

Per il nostro futuro

In queste settimane sarà capitato un po’ a tutti di domandarsi del proprio futuro in relazione alla situazione del nostro Paese e della nostra Chiesa. In molti hanno fatto appello a questo tema per presentarci le loro proposte o per riflettere su quella che è la missione della Chiesa. Non possiamo rimanere sordi o muti agli appelli del futuro perché questi ci toccano direttamente, così come riguardano i nostri giovani e ragazzi. Così il nostro futuro si riempie di speranze, attese, sogni ma anche dubbi, paure e forse angosce. Il rischio è che questo futuro inghiottisca tutta le nostre energie, ma senza darci una speranza o un senso per quello che stiamo facendo. Penso quindi che la strada migliore sia ancora una volta imparare dalla nostra fede che ci dice di una attesa del Signore che verrà nella gloria.

 Il Cristo è già venuto nell’umiltà e nel nascondimento. Ora la nostra preghiera deve farsi carico di un cammino di tutta l’umanità verso il compimento della storia, che in ultima analisi è buono. Il compimento è garantito da Dio, pertanto gli eventi favorevoli o sfavorevoli non possono renderci ottimisti o pessimisti perché nostro punto di riferimento sono le promesse eterne di Dio. Le promesse parlano di: liberazione degli afflitti, diritto anche per gli oppressi, vita per ognuno, perdono, riconciliazione, pace, giustizia, amore reciproco. Queste promesse di Dio esigono da noi una critica della nostra attuale condizione e quindi una conversione che ci permetta di far crescere la nostra umanità per il bene della Chiesa e del mondo intero. I nostri sforzi, in questo senso, anche se non risolvono tutto, ci permettono di sentire come nostra quella città che Gesù ha inaugurato per noi ma che attende di essere completata.

Il tempo di Quaresima ci ricorda concretamente tutto questo e quindi possiamo iniziare da subito a percorrere questa strada. In questi giorni di preparazione alla Pasqua si è parlato e si parlerà di preghiera e appuntamenti personali e comunitari, si progetta una seria collaborazione e comunione con popolazioni in difficoltà, ci saranno momenti specifici per ricevere la misericordia di Dio, vivremo in forma liturgica i misteri della nostra salvezza attraverso i sacramenti. Tutto ciò fa parte del nostro futuro perché si innesta in colui che ha detto «Io sono colui che sono» (Es 3,13). Su questo nome il popolo ebraico ha compiuto un cammino di liberazione attraverso il deserto durato quarant’anni, su questo nome i discepoli hanno creduto alla risurrezione di Cristo portando la buona novella in tutto il mondo, su questo nome noi dobbiamo affrontare il futuro insieme e con fiducia.

don Ilario CORAZZA

Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" il 17/02/2013

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