Nel calendario degli eventi di
San Mauro continua a venire
programmata la «Festa delle
Fragole», anche se i terreni
adibiti a questa coltivazione
sono rimasti pochi e le qualità
di maggior pregio non sono
neppure più nella categoria del
panda, perché sui terreni più
favorevoli sono cresciuti tanti
«alberi» di cemento. I palazzi,
senz’altro più fruttuosi dal
punto di vista finanziario, hanno
cancellato il prestigio che il
piccolo frutto rosso aveva dato
a San Mauro.
Per immaginare un paesaggio
fatto di tante piccole pianticelle,
non rimane che sfogliare
gli album fotografici di molte
famiglie sanmauresi.
Eugenia e
Marilena Gilardi ci hanno mostrato
le loro foto, molte sono in
bianco e nero, ma possiamo immaginare
quanto i terreni coltivati
fossero verdi per le foglie,
rossi per i frutti e bianco-gialli,
per la paglia che il loro papà
buttava fra un filare e l’altro affinché
l’erba non crescesse.
Fra i filari spicca la figura di
Domenico Gilardi, da tutti conosciuto
come Minòt. Figlio di
Giuseppe Gilardi ed Eugenia
Pilone, crebbe fra i filari di via
Lunga (Sambuy) e dove ora c’è
la farmacia di Sambuy. Assorbì
i segreti della coltivazione. Produrre
fragole divenne, per lui,
una passione che trasmise alla
moglie Ernesta Berton e alle
figlie Eugenia e Marilena che,
il giovedì, accompagnavano la
mamma ai mercati generali, dal
momento che in quel giorno,
negli anni Cinquanta, non si
andava a scuola.
Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.
La consegna
delle fragole era un piccolo
viaggio, il cappuccino preso al
bar trasformava quella giornata
in un giorno di festa. Ci sono
anche foto più recenti, quelle
in cui, fra i filari, scorazzano i
nipotini Roberto e Paola Antonetto.
Quando si fece costruire la casa
in via Alfieri (allora via Rapo)
per provare il terreno, Minot
iniziò con 5 filari, era il 1953,
poi divenne il più grande coltivatore
di San Mauro. Il suo lavoro
ufficiale era quello di vigile
urbano di San Mauro; nei mesi
d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo
per poter andare nei
campi prima di recarsi al lavoro.
Poi, durante il periodo di raccolta,
che durava circa venti giorni,
arrivavano ragazze da Locana e
da Ronco Canavese, Minòt lavorava
con loro perché le ferie le
richiedeva per quei giorni, pur
rimanendo a disposizione, per
il 2 giugno e le domeniche.
Le sue fragole erano amate anche
dal Prefetto di Torino che
negli anni Cinquanta veniva di
persona ad acquistarle. Venivano
richieste
dal ristorante
«L’Aquila» che
si trovava di
fronte al municipio.
Le piantine
provenivano
da Ferrara,
Minòt le faceva
arrivare
anche per altri
coltivatori, la più famosa era
la «Bella Ruby»; le fragoline di
Bosconero, invece, non erano
adatte per quel terreno. Un anziano
artigiano che abitava in
valle Chianale, gli intrecciava i
cestini in vimini che lui voleva
personalizzati, così da un lato
c’era l’iniziale G (verde), dall’altro
lato la D (rossa), mentre il
manico veniva dipinto in bianco
al centro e rosso e verde alle
due estremità,
Quando non poté più avere quei
cestini, Minòt s’ingegnò inventando
un platò in legno con il
manico in ferro (per la praticità
del trasporto). Realizzò anche
un sistema d’irrigazione, fatto di
tubi di plastica, lunghi sei metri,
bucati e appoggiati su cavalletti.
La sua coltivazione fu visitata da
una delegazione del comune di
Peveragno (Cuneo), e una foto,
che porta la data 5 giugno 1958,
ricorda quell’evento.
Altre foto hanno fermato l’attimo
di una meritata premiazione
su un grande palco davanti
alla scuola Nino Costa. A ricevere
il premio dalle mani del sindaco
Federico Guerrini erano
Eugenia o Marilena, ma il merito
delle 10 coppe, 3 medaglie
d’oro ed 1 d’argento andava al
papà.
Domenico Gilardi (1917/2010),
alpino, vigile e coltivatore, ha
avuto un percorso di vita molto
lungo durante il quale di San
Mauro si è trasformata.
Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.
Come
tanti altri coltivatori (ricordati
in altri vecchi articoli di questo
giornale) hanno lasciato in eredità
album fotografici e scatole
di latta contenenti foto antiche,
vecchie e più recenti che sono
la nostra macchina del tempo.
In quelle immagini ritroviamo
volti e luoghi di una San Mauro
che non c’è più.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
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