mercoledì 10 luglio 2013

Il mito delle fragole

Nel calendario degli eventi di San Mauro continua a venire programmata la «Festa delle Fragole», anche se i terreni adibiti a questa coltivazione sono rimasti pochi e le qualità di maggior pregio non sono neppure più nella categoria del panda, perché sui terreni più favorevoli sono cresciuti tanti «alberi» di cemento. I palazzi, senz’altro più fruttuosi dal punto di vista finanziario, hanno cancellato il prestigio che il piccolo frutto rosso aveva dato a San Mauro. Per immaginare un paesaggio fatto di tante piccole pianticelle, non rimane che sfogliare gli album fotografici di molte famiglie sanmauresi.

Eugenia e Marilena Gilardi ci hanno mostrato le loro foto, molte sono in bianco e nero, ma possiamo immaginare quanto i terreni coltivati fossero verdi per le foglie, rossi per i frutti e bianco-gialli, per la paglia che il loro papà buttava fra un filare e l’altro affinché l’erba non crescesse. Fra i filari spicca la figura di Domenico Gilardi, da tutti conosciuto come Minòt. Figlio di Giuseppe Gilardi ed Eugenia Pilone, crebbe fra i filari di via Lunga (Sambuy) e dove ora c’è la farmacia di Sambuy. Assorbì i segreti della coltivazione. Produrre fragole divenne, per lui, una passione che trasmise alla moglie Ernesta Berton e alle figlie Eugenia e Marilena che, il giovedì, accompagnavano la mamma ai mercati generali, dal momento che in quel giorno, negli anni Cinquanta, non si andava a scuola.

Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.

La consegna delle fragole era un piccolo viaggio, il cappuccino preso al bar trasformava quella giornata in un giorno di festa. Ci sono anche foto più recenti, quelle in cui, fra i filari, scorazzano i nipotini Roberto e Paola Antonetto. Quando si fece costruire la casa in via Alfieri (allora via Rapo) per provare il terreno, Minot iniziò con 5 filari, era il 1953, poi divenne il più grande coltivatore di San Mauro. Il suo lavoro ufficiale era quello di vigile urbano di San Mauro; nei mesi d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo per poter andare nei campi prima di recarsi al lavoro. Poi, durante il periodo di raccolta, che durava circa venti giorni, arrivavano ragazze da Locana e da Ronco Canavese, Minòt lavorava con loro perché le ferie le richiedeva per quei giorni, pur rimanendo a disposizione, per il 2 giugno e le domeniche. Le sue fragole erano amate anche dal Prefetto di Torino che negli anni Cinquanta veniva di persona ad acquistarle. Venivano richieste dal ristorante «L’Aquila» che si trovava di fronte al municipio.

 Le piantine provenivano da Ferrara, Minòt le faceva arrivare anche per altri coltivatori, la più famosa era la «Bella Ruby»; le fragoline di Bosconero, invece, non erano adatte per quel terreno. Un anziano artigiano che abitava in valle Chianale, gli intrecciava i cestini in vimini che lui voleva personalizzati, così da un lato c’era l’iniziale G (verde), dall’altro lato la D (rossa), mentre il manico veniva dipinto in bianco al centro e rosso e verde alle due estremità, Quando non poté più avere quei cestini, Minòt s’ingegnò inventando un platò in legno con il manico in ferro (per la praticità del trasporto). Realizzò anche un sistema d’irrigazione, fatto di tubi di plastica, lunghi sei metri, bucati e appoggiati su cavalletti.

La sua coltivazione fu visitata da una delegazione del comune di Peveragno (Cuneo), e una foto, che porta la data 5 giugno 1958, ricorda quell’evento. Altre foto hanno fermato l’attimo di una meritata premiazione su un grande palco davanti alla scuola Nino Costa. A ricevere il premio dalle mani del sindaco Federico Guerrini erano Eugenia o Marilena, ma il merito delle 10 coppe, 3 medaglie d’oro ed 1 d’argento andava al papà. Domenico Gilardi (1917/2010), alpino, vigile e coltivatore, ha avuto un percorso di vita molto lungo durante il quale di San Mauro si è trasformata.

Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.

 Come tanti altri coltivatori (ricordati in altri vecchi articoli di questo giornale) hanno lasciato in eredità album fotografici e scatole di latta contenenti foto antiche, vecchie e più recenti che sono la nostra macchina del tempo. In quelle immagini ritroviamo volti e luoghi di una San Mauro che non c’è più.

Luisa PILONE

Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013

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