Scrivo queste righe dal monastero «Dominus Tecum» di Pra’d Mill, sulle montagne sopra Bagnolo Piemonte, circondato da una natura quasi incontaminata e accompagnato nella preghiera da una comunità di monaci cistercensi. Qui è più facile percepire come la preghiera sia necessaria agli uomini quanto il lavoro. Sì, perché la famosa regola di san Benedetto dice «Ora et labora»: due termini necessari e complementari. È la regola dei monaci, ma potrebbe diventare un punto di riferimento anche per noi.
Oggi si discute poco dell’importanza del lavoro: prevalgono logiche economiche o finanziarie. Eppure la Costituzione italiana parla chiaro: fa del lavoro il pilastro su cui si basa la Repubblica (art. 1). Si parla anche poco della preghiera, la si vive con difficoltà, pur sapendo che è un punto fermo della nostra fede. L’importanza del lavoro e della preghiera si conosce, ma è difficile viverli. Propongo allora due suggerimenti praticabili anche da chi si lamenta di «non avere tempo» per cambiare le cose. Se vogliamo cambiare le cose rispetto al lavoro possiamo iniziare con il dire le cose belle che facciamo nella nostra professione. Ad esempio il muratore dirà «oggi ho costruito una bella casa», il medico dirà «oggi ho trovato la cura giusta per un malato», il vigile dirà «oggi ho aiutato i bambini ad attraversare la strada», l’operaio dirà «oggi ho assemblato motori ecologici» ... Dire queste cose ci farà scoprire semplicemente il motivo per cui lavoriamo: rendere più bello e più armonioso il mondo che ci circonda. Inoltre con semplicità faremo venire voglia alle giovani generazioni di lavorare, perché anche loro desidereranno fare cose belle e magari ancora più belle. Se nasce in tutti noi questa convinzione anche la fatica e il sacrificio del lavoro diventano un po’ più sopportabili, fanno meno paura.
Passando alla preghiera il nostro disagio proviene spesso dal fatto che, se preghiamo per gli altri, le cose non si realizzano e se preghiamo per noi stessi ci sembra di essere egoisti. Se poi ci mettiamo in ascolto del Signore dovremmo avere il coraggio di dire che spesso non sentiamo un bel niente, né nel nostro cuore né da Dio. Qui il suggerimento pratico è quello di considerare la preghiera come un albero da frutto, che durante la vita dobbiamo curare, concimare, bagnare e potare. Non sappiamo quando esattamente porterà frutto, forse più volte o forse una volta sola alla fine. Una cosa però la sappiamo: questo albero ci è stato regalato dal Signore ed è per questo che facciamo tutto il possibile perché cresca, perché non si secchi, perché resista a tutte le intemperie. Quando sarà il momento giusto porterà frutti così belli, grandi e gustosi che non ci sarà più bisogno di farsi domande. Tutto sarà chiaro ed evidente.
Concludo queste semplici parole con un augurio che, insieme a don Claudio, facciamo a tutte le parrocchie di San Mauro e in particolare alla parrocchia di San Benedetto che quest’anno vive i suoi 50 anni di comunità: seguendo l’esempio di san Benedetto e san Mauro, suo discepolo, sappiano vivere la regola di fede «Ora et labora» per seguire sempre meglio il Signore.
don Ilario
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