martedì 18 maggio 2010

La regola dell'amore

Proseguiamo nelle nostre chiacchierate sui temi dell’educazione. Con l’ultimo numero di «Testata d’angolo» ci eravamo lasciati parlando dell’impegno che l’uomo ha di «costruirsi» come persona, e del rischio di fallire questo compito. Si tratta di capire allora come l’uomo possa costruirsi e in che cosa consista il rischio del fallimento. Bisogna però fare una premessa. Dall’affermarsi dell’Illuminismo nella cultura occidentale (che, è bene ricordare, è solo una delle culture del mondo, anche se ci riguarda molto da vicino) si è affermata l’idea di «individuo» a scapito dell’idea di «persona». È una differenza rilevante: l’individuo lo possiamo defi nire come un «io» che ha come unica preoccupazione il sé distinto da qualunque altro; la persona sa di essere distinta dalle altre, ma è sempre in relazione con un’altra persona all’interno di una comunità. Da quando si è imposta l’«individualità» la società ha cominciato a conoscere fenomeni di frammentazione via via crescente. Una dimostrazione molto rozza, ma chiara, l’abbiamo nell’indifferenza dimostrata in certi video circolati anche nei Telegiornali rispetto a persone in diffi coltà o addirittura di fronte a un omicidio in atto. Diverso è il caso della «persona », che si costruisce nella relazione: essa colloca inevitabilmente nel suo orizzonte il bene comune. A noi interessa la persona che si colloca responsabilmente in una società nella speranza che il moltiplicarsi di persone responsabili mettano un freno alla frammentazione e all’indifferenza sociale.

Relazioni di giustizia. È interessante esplorare in quale modo si realizzi la relazione con gli altri. Uno dei modi è certamente compreso nelle «relazioni di giustizia». Nel libro della Sapienza si legge: «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Ella infatti insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini durante la vita». (Sap. 8,7). Questo ci dice: che la giustizia non esiste che a partire dalle persone e per le persone. Il fi losofo Kant affermava che ogni persona deve essere trattata come un fi ne e mai come un mezzo. Autori moderni sostengono che la giustizia è «virtù morale che induce a rispettare la dignità personale dell’uomo e a fornirgli quanto gli é dovuto come individuo responsabile del proprio destino». La giustizia é perciò quell’ordine in cui l’uomo può sussistere come persona. Essere giusti signifi ca riconoscere i primi fondamentali diritti dell’uomo con tutte le conseguenze: diritto alla vita, alla libertà, all’istruzione, alla dignità, al lavoro, alla famiglia… Ne deriva la necessità di una coscienza più personale e integrale dell’ingiustizia, che consiste, in primo luogo, in ogni manipolazione e sopraffazione dell’uomo, del suo bene personale, familiare e sociale. Anche se «le relazioni di giustizia » sono importanti, ci lasciano però ancora nell’ambito di una giustizia che prevede di dare a ciascuno il suo. Non è poco, ma non è suffi ciente. Consideriamo allora le «relazioni di amore».

Relazioni di amore. Se le relazioni di giustizia si preoccupano di dare quanto l’altro ha diritto di ricevere, e quindi sono basate sulla relazione «diritti e doveri», le relazioni di amore sono basate sui bisogni. All’altro è concesso di avere quanto ha bisogno. Un esempio è la relazione tra madre e fi glio: la madre non defi nirà mai i confi ni del diritto all’amore del proprio fi glio, perché sarà disposta sempre a dargli tutto l’amore che le viene richiesto. L’amore si dona senza misura a partire dal comandamento nuovo di Gesù «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». L’esempio della madre può essere signifi cativo se non lo limitiamo all’ambito familiare. Gesù ci indica la strada maestra in tutte le relazioni: se Dio è amore e nell’amore, particolarmente in Giovanni, rivela la sua natura, le relazioni tra le persone non possono che essere improntate all’amore gratuito, che tutto precede.

Relazioni di solidarietà. Il rapporto tra persone non sempre si realizza sul piano della giustizia e dell’amore. A volte si realizza in una «relazione di solidarietà» che non è propriamente giustizia, ma nemmeno propriamente amore. Spesso è l’ambito che consente la collaborazione tra persone con convincimenti e valori più diversi. Pone rimedio all’ingiustizia, si muove con grande generosità, pur non arrivando ai vertici di quel «come io ho amato voi». Tutte le forme di relazione che abbiamo considerato fi n qui sono sempre relazioni feconde: le relazioni di giustizia generano la società, e, particolarmente, una società che vuole essere giusta; le relazioni d’amore generano certamente la famiglia, ma possono dare luogo anche a rapporti tra persone di una profondità insondabile (basti pensare a Gesù quando dice: «dove due o più si riuniscono nel mio nome là io sono»: sono relazioni tanto feconde da rendere possibile tra noi la presenza reale di Gesù). Le relazioni di solidarietà generano tutte le associazioni e le azioni di volontariato. Educarsi a queste relazioni è fondamentale per la persona credente, ma anche per la persona non credente, se vuole realizzare una società più giusta.

L’individualismo. Ogni rapporto fecondo comporta una limitazione, sarebbe meglio dire una autolimitazione, e questa è una conquista dell’educazione. La cultura dell’individualismo rischia di portare al fallimento perché rappresenta l’esatto contrario della vita di comunione; fa agire l’uomo come se fosse «l’unico», come se gli altri vivessero in sua funzione. Di qui ha origine l’indifferenza che è bene espressa con il proverbio «ognuno per sé e Dio per tutti». Ciascuno si arrangi, perché io non mi prendo pesi non miei. Dall’indifferenza nasce la diffi denza, che è la paura dell’altro, che può sempre essere un possibile nemico. E la strumentalizzazione, che prevede di strumentalizzare gli altri per raggiungere i propri fi ni. Ed è molto diffusa non solo ai giorni nostri, ma addirittura sotto i nostri occhi. Può essere una strumentalizzazione fi sica, che si esprime con atti di riduzione a schiavitù (basti pensare a molti fenomeni di prostituzione) o attraverso il plagio esercitato da persuasori occulti. C’è il parassitismo di chi pensa di avere solo diritti e nessun dovere: esisto solo io e non sento il bisogno di compensare il bene che ricevo. E infi ne la prevaricazione verso cose o persone: si esprime anche con il saccheggio sconsiderato dei beni della terra. Come diceva un altro fi losofo, Hobbes, «homo homini lupus»: ogni uomo è un lupo per l’altro, cioè un nemico pericoloso. Costruirsi nel senso richiesto da Dio è sempre faticoso, ma è indispensabile se non vogliamo arrenderci al caos e alla sopraffazione.

diacono Roberto PORRATI

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